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Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo periodicamente in chat per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sul CAMBIAMENTO. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

“Chi nasce tondo non morirà mai quadrato” ripeteva sempre mio nonno per affermare che un uomo nella vita difficilmente potrà cambiare modo di fare. A sostegno di questa sua certezza, rafforzava il senso del discorso citando un ulteriore detto a lui caro: “il lupo perde il pelo ma non il vizio”!

A forza di sentirgli ripetere quei motti, a mia volta crebbi maturando la convinzione che davvero un uomo nella vita non potesse mai cambiare. Per cui chi avrebbe avuto la fortuna di nascere genio, lo sarebbe stato a vita, così come chi avrebbe avuto la sventura di nascere con tendenze criminali, sarebbe stato a vita un criminale incallito.

Mai fui sfiorato dall’idea che il cambiamento appartenesse all’evoluzione d’ogni essere vivente per cui, in qualunque momento un uomo lo avesse davvero voluto , avrebbe potuto dare una sterzata in positivo o in negativo alla propria vita.

Man mano che crescevo, quegli aspetti del mio carattere, che agli occhi di tanti erano considerati difetti, per me rappresentavano la carta di identità per cui ne andavo orgoglioso. A quanti, soprattutto le donne, mi accusavano di essere un egoista, un opportunista, un egocentrico rispondevo che quello era il mio modo di essere, non potevo farci nulla.

La sofferenza che arrecavo agli altri con il mio comportamento la reputavo non una mia colpa ma una loro debolezza. Nemmeno per un attimo mi ponevo il problema se non fosse il caso meditassi su me stesso, cercando di individuare eventuali asperità del mio modo di fare, impegnandomi a smussarle al fine di avere un rapporto più armonioso con gli altri.

Quell’atteggiamento di estrema individualità mi portò ad avere successo a livello professionale: in poco tempo, da semplice impiegato, mi ritrovai a ricoprire funzioni dirigenziali. I vertici aziendali mi apprezzavano per la tenacia e la facilità con cui realizzavo gli obiettivi, non creandomi alcun tipo di problema nel fare tabula rasa attorno a me.

Nel giro di pochi anni mi affermai come uno i manager più potenti al mondo. Mi sentivo soddisfatto: avevo il portafoglio sempre pieno per cui ero nell’invidiabile condizione di potermi concedere ogni sfizio e tutte le donne che desideravo.  

La mia fama di uomo senza scrupoli era tale che non appena un’azienda in crisi o in ristrutturazione aveva bisogno di un manager che ne mettesse i conti a posto o le desse una svolta, si rivolgevano a me, seppure fossi il più caro sulla piazza.

A quarant’anni avevo un jet privato con cui mi spostavo da un luogo all’altro del mondo per soddisfare le richieste dei miei clienti o semplicemente per il gusto di viaggiare.

La disgrazia avvenne mentre ero in vacanza su uno yacht di amici alle Barbados: durante una serata nebbiosa fummo speronati da un mercantile. A bordo eravamo in otto, l’unico superstite fui io ma il prezzo che pagai fu alto: a seguito di una serie di lesioni alla colonna vertebrale, persi la funzionalità delle gambe. Dopo una serie di interventi alla schiena negli USA costosissimi e tecnicamente riusciti, i medici mi spiegarono che comunque difficilmente avrei ripreso a camminare in quanto le lesioni non erano soltanto di natura fisica ma anche nervosa. Stando a loro era come se si fosse spezzato per sempre il legame tra il corpo e la mente la cui funzione era svolta dai gangli nervosi.

Pur vivendo in una splendida villa sulla collina immersa nel verde che affacciava sul golfo, mi ritrovai da solo con la servitù, gli infermieri e i fisioterapisti: di amici e parenti nemmeno l’ombra.

Nonostante quella triste condizione da paraplegico, continuavo a lavorare da casa, dando istruzioni attraverso il telefono e le videochat.

La rabbia accumulata dalla tragedia alla quale ero sopravvissuto, mi rese ancora più cinico di quanto già non fossi. Se prima dell’incidente, per quanto mi fosse possibile, cercavo di non incidere con il mio operato sul personale aziendale, preoccupandomi di salvaguardare quanti più posti di lavoro potevo, ora mi comportavo peggio di un tagliatore di teste. A chi si rivolgeva a me chiedendomi di cercare di salvaguardare almeno una parte di lavoratori, rispondevo “quando la gamba è incancrenita va amputata anche una piccola parte sana per evitare che il male si estenda a tutto il corpo”!

Un giorno alla tv davano un programma su Lourdes e i suoi miracoli. Rimasi scosso dal racconto di un miracolato il quale, a causa di un incidente automobilistico, era rimasto paralizzato come me. Raccontò che quando ormai aveva perso ogni speranza nella scienza, aveva deciso di affidarsi alla fede, decidendo di andare a Lourdes. Disse che quando fu immerso nella vasca incominciò a sentire un formicolio alle gambe e iniziò lentamente a muoverle.

Ora era un uomo felice perché era ritornato alla vita di un tempo.

Pur non essendo un uomo di fede, mi decisi di andare a Lourdes!

Quando mi ritrovai immerso in quello scenario suggestivo, con il fiume Gave de Pau che taglia in due la cittadina, un’insolita emozione mi scosse l’animo. Quando entrammo nel santuario, restai ammirato dalle infinite fiammelle delle candele che lo rischiaravano e l’assordante silenzio che ci avvolse. Il volontario che mi accompagnava in quel viaggio della speranza, mi spiegò che l’indomani, quando avrei fatto il bagno nella vasca miracolosa, avrei dovuto pregare con tutte le mie forze affinché la scintilla divina racchiusa in me si risvegliasse entrando in contatto con quella eterna che anima l’universo. Solo così potevo sperare nel miracolo.

Trascorsi la notte insonne. Al mattino ci accodammo alla lunga fila di barelle e carrozzelle di ammalati che affidavano le loro esigue speranze di guarigione al sacro. Quando finalmente toccò a me immergermi, chiusi gli occhi e iniziai a pregare. Nulla, nessun formicolio o altro percepii alle gambe.

Deluso fui tratto dalla vasca. Quando uscimmo dalla piscina, la barella che mi precedeva si fermò: l’uomo che vi era adagiato chiamo a sé un mendicante che cercava l’elemosina sulla strada e gli diede qualcosa rendendolo felice. Mi chiedevo dove quell’uomo avesse trovato la forza e il coraggio di fare la carità visto le condizioni disperate in cui versava.

Mentre rientravamo a casa, ero profondamente deluso e ancor di più arrabbiato con il mondo. Ma soprattutto ero arrabbiato con me stesso per aver ceduto alla suggestione religiosa.

Ripresi la mia vita da paraplegico, catapultandomi ancor di più nel lavoro.

Un pomeriggio fui contattato da un’azienda in pessime acque, prossima alla chiusura. Mi si chiedeva un parere sul come fare per evitare di pagare la liquidazione ai dipendenti. “Perché non gliela volete pagare?” chiesi. “Per risparmiare, ovvio!” mi fu risposto. In quell’attimo mi sovvenne davanti agli occhi l’immagine dell’uomo in barella che a Lourdes aveva fatto l’elemosina al mendicante: “Mi dispiace, ma io certe cose non le faccio più!” risposi e riattaccai.

Ripensando alla mia reazione, mi stupii di me stesso. Temetti che, dopo le gambe, stavo lentamente perdendo anche la ragione. Eppure qualcosa in me stava cambiando. Mi resi conto che sia con i collaboratori domestici che con gli infermieri iniziavo a instaurare un rapporto diverso, più umano. Ai loro errori non rispondevo più con rabbia e cattiveria, minacciando di licenziarli o di denunciarli all’ASL, bensì sorridevo, dicendo “solo chi non agisce non sbaglia, tranquillo!”

Una sera alla tv vidi il sit-in inscenato dai dipendenti dell’azienda da cui ero stato contattato perché l’aiutassi a non pagare la liquidazione. Erano disperati. Chiamai un giornalista che conoscevo e gli proposi di intervistarmi. Sulle prime titubò, ma quando gli spiegai le mie intenzioni, accettò.

Nell’intervistai denunciai d’essere stato contattato dalla proprietà per aiutarla a truffare i dipendenti e mi offrii di aiutare i lavoratori a tutelare i loro interessi, mettendo disposizione le mie risorse finanziarie perché portassero avanti la loro battaglia legale.

Ma sapevo che se non avessi avuto modo di stare loro accanto ventiquattr’ore su ventiquattro, suggerendogli ogni passo, pur vincendo la causa, avrebbero risolto ben poco.

Con quella consapevolezza mi addormentai. Durante la notte fui destato da un forte formicolio alle gambe, lentamente iniziai a muoverle.

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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