NELLA VITA C’È SEMPRE UN PERCHÉ

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Di seguito il racconto pubblicato su QuiCampiflegrei.it

                    

Camminava da oltre un’ora sul sentiero che costeggiava il fiume, diretto nel punto in cui le acque si incrociavano con quelle dell’altro canale che scendeva dal versante opposto della montagna.

Prima di avviarsi aveva consultato il servizio meteo per accertarsi di non essere colto di sorpresa dal maltempo: indicava tempo sereno!

La fitta boscaglia, che come un ombrello copriva la strada d’acqua gettando una fitta ombra tutt’intorno, gli impedì di avvedersi dei minacciosi nuvoloni che si ammassarono in cielo. Le prime gocce d’acqua sul capo e sul viso annunciarono il temporale.

Le violente sferzate di pioggia, solo in parte mitigate dalle fitte foglie degli alberi, lo infradiciarono. Si guardò intorno alla ricerca di un riparo: nulla!

Deviò all’interno della foresta, sperando di imbattersi in un rifugio di pastori e cacciatori o in un antro.  Quando aveva ormai perso ogni speranza, dal fondo della foresta intravide un bagliore. Man mano che vi si avvicinava, la luce diventava sempre più distinta. Di lì a poco, al suo sguardo si delineò una baita col camino fumante.

La raggiunse e iniziò a picchiare con insistenza il pugno sulla porta. Dall’altro lato udì il rumore del chiavistello, l’uscio si aprì con un forte cigolio. Davanti gli si parò uomo anziano: alto, i radi capelli bianchi impomatati, gli occhi azzurro ghiaccio, vestito elegantemente in abito di ottima fattura dal taglio vetusto.

<<Ya?>>

<<Potrebbe ospitarmi fino a che non smetterà di piovere?>> domandò implorante, il viso grondante di pioggia.

Il tedesco lo scrutò più volte da capo a piedi, poi si spostò per lasciarlo entrare.

Il violento richiudersi della porta alle spalle lo fece sobbalzare. Fissò la macchia d’acqua allargarsi attorno a sé sul pavimento di legno.

<<Mi dispiace>> disse mortificato.

<<Non importa>> gracchiò il tedesco. <<Si spogli altrimenti le kverrà un malanno>>. Così dicendo si avvicinò all’armadio ad angolo con il camino, lo aprì e prese degli abiti asciutti.

<<Tenka, indossi kwesti. Ma prima si asciuki>>. Levò dalla spalliera della sedia l’asciugamano e gliel’allungò.

<<Kradisce un tè caldo?>>

<<Perché no?>> rispose spogliandosi.

<<Vuole anche qualkosa da manciare?>> Tolse la teiera dal fornello e versò il tè in una tazza.

<<Se non la disturba!?>>

<<Se mi disturbava non glielo avrei kwiesto!>>

<<È da molto che vive qui?>> disse, mitigando l’imbarazzo.

<<Da quando è finita la Seconda Kwerra mondiale>>.

Rivestendosi, fece velocemente un calcolo mentale: l’uomo doveva avere all’incirca cent’anni o giù di lì.

<<Complimenti, gli anni se li porta bene!>> sorrise, indossando la camicia che gli stava a pennello.

<<Krazie!>>. Il tedesco prese dalla credenza un pezzo di pane, del formaggio stagionato e li appoggiò sul tavolo. Quindi afferrò dalla mensola sulla cucina una bottiglia di vino rosso, ne riempì un bicchiere e lo mise davanti all’ospite.

<<Lei mi vizia>> sorrise, sorseggiando il tè.

<<Faccia meno lo spiritoso e manci, le farà bene>> disse sedendosi al tavolo. L’ospite si sedette a sua volta. Posò la tazza, prese il pane e lo spezzò. Afferrò il formaggio e lo addentò.

<<Buono>> disse, mangiando.

<<Ke ci fa da kweste parti?>>

<<Volevo seguire il fiume fin dove le sue acque si incontrano con quelle del versante opposto>>.

<<Perké?>>

<<Certe cose non hanno un perché, si fanno e basta!>> rispose facendo spallucce.

<<Nein, nella vita tutto ha un perké. Purtroppo gli uomini non amano farsi domande e darsi risposte, kwesto è da sempre il male di ogni società!>>, sentenziò il tedesco fissandolo con intensità.

<<Sarà… Dunque lei è qui dalla fine della guerra!?>> disse portandosi il bicchiere di vino alle labbra.

<<Ya!>>

<<Non è mai più tornato in Germania?>>

<<Nein!>>

<<Non ha mia sentito la voglia di rivedere la sua famiglia?>>

<<Ya!>>

<<E allora, perché non è rientrato in patria?>>

<<La mia famiglia è stata sterminata durante il bombardamento di Norimberka, sono rimasto solo!>>

<<Mi dispiace>>

<<La preko, non mi kompatiska, la kwerra è kwerra! La kwerra ha il potere di trasformare il migliore degli uomini nel peggiore dei kriminali, facendogli fare kose orribili!>>

<<Anche lei le ha fatte?>>

<<Ya!>>

<<Ed è pentito?>>

<<Ya, ma non potevo evitarle, erano ordini: un militare ha il dovere di okbbedire!>> disse con una punta di amarezza. <<Kwuando gli amerikani sbarkarono in Sicilia, mentre ci ritiravamo, facemmo una rappresaglia in un paese kwi vicino. Ci ordinarono di uccidere tutti, uomini, donne, vekki e bambini. Nessuno si salvò! Prima di essere fucilata, una donna mi diede kwesta>>. Infilò una mano sotto la camicia e mostrò la catenina al collo cui pendeva la medaglietta con su raffigurato il volto sorridente di una donna e di un uomo.

<<Perché gliela diede?>>

<<Non l’ho mai kapito. Me lo sono kwiesto tante volte, ma non sono mai riuscito a darmi una risposta>>. Si tolse la collanina e la diede all’ospite. <<La tenka lei, a me non serve più!>>

<<Ma veramente…>.

<<Nein, nessuna obiezione, mi fa piacere dargliela!>>

<<Grazie! … Ha smesso di piovere>> disse guardando oltre la finestra.

<<Ya, e i vestiti e le scarpe si sono asciukati>> disse il tedesco avvicinandosi al camino.

<<Di già?>> si stupì.

<<Ya, il mio fuoko è potente>> sorrise fissando la fiamma nel camino.

L’ospite si rivestì: infilò la catenina nella tasca dei pantaloni, salutò e si incamminò nella boscaglia.

Quando rientrò in paese, raccontò al proprietario della locanda in cui alloggiava – un uomo anziano dal viso segnato dalla sofferenza – l’esperienza che aveva vissuto: questi iniziò a canzonarlo.

<<Non dica sciocchezze, è da una vita che quella casa è abbandonata. Una volta vi viveva un ex soldato tedesco, ma si impiccò molti anni fa. Pare che non si fosse mai perdonato di aver partecipato all’eccidio che alla fine della guerra sterminò il paese in cui perse la vita anche mia madre. Io mi salvai perché quella mattina ero nel bosco a raccogliere more. Quando i tedeschi arrivarono, dalla collina vidi giungere la colonna militare. Corsi come un forsennato nella boscaglia per avvisare del loro arrivo, ma giunsi tardi. All’improvviso l’aria cominciò a riecheggiare dell’assordante rumore di spari e delle urla strazianti delle vittime. Quando arrivai, la colonna di camion e soldati era già lontana: sul terreno c’era un mare di sangue e un tappeto di morti. Uno spettacolo agghiacciante che non dimenticherò mai! Mamma era stata fucilata sul sagrato della chiesa insieme al prete e a un gruppo di donne e bambini. Piangendo, tenendole con una mano il capo insanguinato, con l’altra cercai la collanina che portava al collo con su impressa l’immagine sua e di papà partito per la guerra e mai tornato: non ce l’aveva più!>>

Senza dire nulla, l’ospite sfilò dalla tasca la collanina datagli dal tedesco e gliela porse.

<<Forse questa le appartiene…>> sussurrò.

Il locandiere fissò sbalordito la medaglietta.

<<Dove l’ha presa?>>

<<Me l’ha data il tedesco che ho incontrato al fiume!>>

L’oste lo guardò come se vedesse un fantasma.

<<Sta scherzando!?…>> mormorò.

Fece cenno di no col capo.

Quando arrivarono alla casa sul fiume, l’oste e il suo ospite restarono a fissare la struttura fatiscente che se ne cadeva a pezzi: il tetto era sfondato dai rami degli alberi che vi si incuneavano all’interno.

<<Che le avevo detto?>> mormorò l’oste, stringendo tra le dita della mano la medaglietta che aveva al collo.

Anziché rispondere, l’ospite si avvicino alla porta della casa avvolta dalle ragnatele, per metà appesa a un cardine: l’accostò di lato con attenzione ed entrò. All’interno le travi del soffitto pendevano pericolosamente su di loro; l’arredamento era ridotto a un ammasso di rottami. Nel mezzo della stanza vi era un tavolo roso dalle tarme anch’esso intessuto di ragnatele. Nel centro del ripiano troneggiavano una bottiglia di vino rosso e un bicchiere. Sul camino c’era una cornice con una foto di un giovane in abito elegante: non faticò a riconoscere in quel volto sorridente il tedesco dagli occhi di ghiaccio che gli aveva offerto riparo. Sulla spalliera della sedia accostata al tavolo era piegato il vestito indossato dal giovane nella foto e dall’uomo incontrato il giorno prima.

Si avvicinò al tavolo, riempì il bicchiere di vino, lo levò al cielo, sussurrando:

<<Nella vita c’è sempre un perché!>>

                                                  

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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