Morire in ospedale al tempo del covid

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Il prossimo 21 febbraio sarà trascorso esattamente un anno dal primo caso di covid registrato nel nostro paese.

Cosa sia poi successo da quel giorno maledetto, tutti lo sappiamo. Soprattutto chi a causa del virus ha perso il lavoro, si è ammalato e chi ha perso i propri cari ricoverati in ospedale per covid o per altre patologie, in assoluta solitudine, senza poter dare loro l’estremo saluto.

Queste poche righe sono frutto dell’esperienza vissuta da un’amica: la sorella è deceduta l’altro ieri, dopo un travaglio di un mese in cui è stata sballottata da un ospedale all’altro senza avere accanto nessun familiare.

La signora è deceduta per complicazioni respiratorie conseguenti all’aggravarsi di patologie pregresse ai polmoni, aveva ottantatré anni.

Quando a metà gennaio ebbe l’ennesima crisi respiratoria, fu subito portata in ospedale, rigorosamente da sola come previsto da protocollo anticovid, e vi rimase per circa una settimana. Successivamente, visto il persistere della patologia nonostante le cure, ne fu deciso il trasferimento in un altro nosocomio dove rimase un’altra settimana, sempre in assoluta solitudine, rinfrancata dalle lunghe videochiamate che faceva con il telefonino a parenti e amici.

Quando finalmente sembrava che le cose fossero migliorate, senza preavvertire i familiari, ne fu deciso il trasferimento in una struttura privata perché le fosse praticata la riabilitazione respiratoria.

Dal momento in cui fu trasferita, per oltre due giorni di lei i parenti non seppero nulla. Provarono ripetutamente a contattarla ma, seppure il cellulare squillasse, nessuna risposta. Poi silenzio!

Allarmata, la figlia, attraverso una serie di telefonate ad amici che lavorano nella sanità, seppe dove si trovava. A quel punto si recò in clinica e riuscì ad avvicinarla, scoprendo che la madre non rispondeva perché il telefonino le era finito sotto il letto.

Il dubbio che da allora assale lei e tutti gli altri parenti è se, anziché esserle caduto dalle mani poco prima del suo arrivo, il telefono non fosse finito lì sotto da oltre due giorni. Ossia da quando non riuscivano più a contattarla. Se così fosse, significherebbe che fino al suo arrivo nessuno passò a pulire la stanza né a prendersi cura della signora.

Diversamente, spazzando e lavando il pavimento o accudendola, qualcuno degli inservienti o degli infermieri se ne sarebbe dovuto accorgere, no?

Una delle cose più tristi in questo anno sospeso è la morte in solitudine di uomini e donne, per lo più anziani, a cui il virus non solo ha tolto la vita, ma li ha privati del conforto dei propri cari nel momento del trapasso.

Di decessi ospedalieri in reparto o in terapia intensiva con anziani intubati o col casco di ventilazione sul capo che salutavano i figli e i nipoti in videochiamata poco prima di spirare, ce ne sono stati tanti. E purtroppo ce ne saranno ancora fino a quando questo incubo non cesserà.

Ma l’incubo peggiore è il dubbio che ai nostri cari in ospedale possano mancare le elementari cure assistenziali e che, una volta trapassati, qualche sciacallo possa sottrarre loro i gioielli e i telefonini com’è già avvenuto in alcuni casi a Milano, Roma e Taranto

Se vivere e ammalarsi all’epoca del covid è una sofferenza, morirvi in ospedale è la cosa peggiore che possa accadere perché mai come allora ci si riscopre completamente soli e, in alcuni casi purtroppo, alla mercé della bestialità umana che nemmeno davanti alla morte ha la decenza di chinare il capo!  

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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