L’araba fenice

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Dal primo momento che era scoppiata la pandemia, pur essendo un medico generico, come tanti suoi colleghi si era messo a disposizione per assistere gli ammalati. Con la mascherina sul viso andava a casa di ogni paziente e lo curava attenendosi scrupolosamente ai protocolli prescritti dal ministero.

Malgrado si impegnasse con tutto se stesso per sconfiggere quella che i media avevano definito la “peste del XXI secolo”, molti anziani, dopo una dolorosa agonia distesi sulle barelle in terapia intensiva e in subintensiva, erano deceduti senza nemmeno il conforto di avere accanto i propri cari, costretti a salutarli attraverso i display dei telefonini facendo loro una videochiamata aiutati dagli infermieri.

Da fervido credente nella scienza, del tutto agnostico, alternava sarcasmo e fastidio verso chi affermava che il virus fosse la punizione inviata da Dio in terra per punire l’umanità dei propri peccati. Quando ascoltava una simile affermazione, di riflesso gli veniva di rispondere che, se davvero fosse stato così, non si capiva perché il male mietesse vittime tra gli anziani e sofferenti, anziché scatenarsi contro chi compiva i peggiori crimini.

Nello stesso tempo accoglieva con titubanza la tesi di chi invece sosteneva che il virus fosse un mezzo messo a punto dalla natura per sfoltire la popolazione mondiale la quale, rasentando i nove miliardi di abitanti, riduceva sempre di più gli spazi di vivibilità sul pianeta rischiando di ucciderlo.

Seppure quella tesi gli apparisse quanto meno fantasiosa, il fatto che il virus mietesse vittime tra gli ultrasettantenni e gli ammalati gravi alimentava il dubbio che potesse essere così. Pur essendo abituato a ragionare con i numeri e le formule chimiche, l’esperienza gli aveva insegnato che la natura è un organismo vivente, dotato di intelligenza propria, per cui quella ipotesi fantascientifica, supportata dai dati relativi alla mortalità dei pazienti, non gli sembrava tanto campata in aria.

Quella convinzione pseudo-scientifica iniziò a crollare quando l’età dei decessi si abbassò drasticamente, toccando fasce di cittadini, per lo più ragazzi e giovani, che fino e poco prima sembravano essere totalmente immuni al virus.

Fu allora che in lui la rabbia prese il posto della rassegnazione: un vecchio e un ammalato grave è naturale possano morire, un giovane no!

Fu così che iniziò a credere nella teoria complottista secondo cui il virus fosse il risultato di un esperimento di laboratorio finito male; il frutto della follia e presunzione della scienza umana di voler a ogni costo imporsi sulla natura sovvertendone le elementari leggi che la regolamentano. Se non addirittura una micidiale arma chimica creata da una potenza mondiale per sottomettere a sé il resto del pianeta.

Da convinto uomo di scienza qual era passò dalla parte di chi nella scienza identificava un pericoloso nemico da combattere a ogni costo.

Agli ammalati non prescriveva più cure attinenti alla medicina ortodossa, ma quelle rifacentesi alle cosiddette medicine alternative. Ma purtroppo i risultati non cambiavano: tra i suoi pazienti il tasso di mortalità continuava a essere quello di prima, in alcuni casi addirittura aumentava.

In poco tempo, da speranza, ai loro occhi divenne il nemico da rifuggire!

Uno dopo l’altro tutti lo abbandonarono. Quando di propria iniziativa bussava alle loro porte per sapere come stessero, nessuno gli apriva e, se lo faceva, era per dirgli di non farsi più vedere; che non voleva avere niente a che fare con un ciarlatano come lui!

Quella triste parabola si consumò nell’arco di poco più di un anno.

A Pasqua dell’anno successivo l’intera nazione era nuovamente costretta a festeggiare la resurrezione del Figlio di Dio standosene barricata nelle proprie dimore perché la diffusione del virus non rallentava. Alcune varianti lo rendevano ulteriormente aggressivo.

Ripensando allo scorso anno, gli sovvenne alla mente l’immagine del Papa che in mondovisione durante la Via Crucis aveva camminato nel deserto di pietra di Piazza San Pietro e celebrato la messa in assoluta solitudine, implorando Dio di “non lasciarci nella tempesta”.

Quell’immagine e quelle parole lo avevano interiormente trasformato. Gli sembrò che il grido di dolore del Pontefice ammonisse Dio per essersi lavato anche lui le mani come aveva fatto Pilato quando si era rifiutato di giudicare Gesù.

In quell’attimo ripensò a Cristo che a sua volta sulla croce, poco prima di morire, aveva implorato l’aiuto del Padre chiedendogli perché lo avesse abbandonato.

Per non parlare di San Pietro che per ben tre volte aveva rinnegato Gesù.

Fu allora che comprese che chiunque ricoprisse nella vita un ruolo di responsabilità ha il dovere di svolgerlo fino in fondo anche se, a un certo punto, fosse costretto a dover lottare contro chi, invece di ostacolarlo, lo dovrebbe aiutare.

Se perfino il Papa e Gesù avevano messo in discussione l’autorità divina, pur continuando a compiere l’uno il proprio ministero l’altro a lasciarsi morire in Croce perché si realizzasse quanto era profetizzato nelle scritture, e se Gesù aveva scelto come successore colui che lo aveva rinnegato, chi era lui per ripudiare quella scienza in cui aveva fermamente creduto prima di abiurarla perché si era dimostrata inerme davanti al virus?

In quell’attimo i dubbi lo abbandonarono, le certezze tornarono a rianimarsi.

Il giorno di Pasqua, mentre le campane a festa annunciavano la rinascita del Signore, aprì l’armadio e indossò il camice che aveva smesso da tempo; riprese la valigetta medica e, rincuorato dalla fede nella scienza, tornò ufficialmente in battaglia per combattere il nemico invisibile con la consapevolezze che se nemmeno Dio era perfetto, come poteva esserlo la scienza le cui truppe erano formate dagli uomini, creature perfettibili ma non perfette?

Un soldato diserta o per vigliaccheria o perché ritiene ingiusta la guerra che combatte.

La sua guerra non era ingiusta né lui era un vigliacco.

Vi sono tanti modi perché un uomo risorga, quello fu il suo!

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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