C’è una realtà che, come la morte, appartiene naturalmente a tutti quanti noi, il suo nome è vecchiaia! Di essa molti acquisiscono consapevolezza solo quando iniziano a patire gli acciacchi fisici, abbiano quaranta o sessanta anni, vedendosi improvvisamente preclusa la possibilità di realizzare ambizioni di qualsiasi genere.
C’è chi si sente vecchio già a trenta anni e chi invece a sessanta ancora ragazzino, indipendentemente dall’aspetto del proprio fisico, perché ha uno spirito precocemente invecchiato o eternamente giovane. Pertanto, seppure l’anagrafe gli imporrebbe di fare o non fare determinate cose, egli reagisce in virtù di come si sente interiormente fregandosene degli anni e di quello che gli altri potrebbero pensare.
Ci sono trentenni che storcono le labbra in segno di disappunto se un loro coetaneo o una persona più matura si concede delle “bizzarie” che, a loro parere, si addicono a un ventenne. Poi ci sono persone che, pur avendo da tempo superata la soglia degli “anta” si godono la vita senza porsi il problema se è giusto o meno fare determinate cose a una certa età, convinti che “ogni lasciata è persa!”
È vero che il giusto equilibrio sta nel fondere le esigenze interiori con quelle realmente praticabili in rapporto alla propria condizione fisica e anagrafica, ma trovo encomiabili coloro che, nonostante abbiano un’età che supera abbondantemente i sessanta, o addirittura i settanta, vivono la vita con la gioia e la spensieratezza di quand’erano ragazzini; cogliendo al volo ogni momento bello che la vita ha ancora da offrigli perché hanno maturato la consapevolezza che vivere non deve essere solo sacrifici e sofferenza, ma anche e soprattutto gioia!