Di seguito l’articolo pubblicato su QuiCampiflegrei.it
Giovedì 9 luglio a Pozzuoli, nello splendido scenario di Terrazza Lopez con vista sul Tempio di Sarapide, si è presentato il romanzo NOTTE NERA di Giuseppe Petrarca, edito da HOMO SCRIVENS. Dopo l’intervento introduttivo del dottor Carmelo Cicala, proprietario dell’Hotel Neronensis, di cui la “terrazza” è parte integrante, che ha illustrato agli ospiti in sala i progetti in cantiere per il futuro, la serata è stata ufficialmente aperta dal giornalista Ciro Biondi il quale, dopo aver presentato i relatori, ha passato la parola allo scrittore Pino Imperatore presente in qualità di relatore. Sono intervenute: Anna Copertino, Enza D’Esculapio, Ginella Palmieri; letture di Liliana Palermo. A fine serata, durante l’elegante convivio offerto dalla padrona di casa Pasqualina Petrarca, ne abbiamo approfittato per porre alcune domande all’autore.
Giuseppe, Notte Nera è il tuo quarto poliziesco. Ai tuoi romanzi incominci a lavorare solo dopo che hai la trama ben strutturata in mente o le storie si sviluppano man mano che le scrivi?
Io ripeto sempre quel che diceva Giorgio Manganelli: l’autore scrive sotto dettatura. A volte lo scrittore scrive al di fuori di se stesso, della propria esistenza, della propria esperienza personale, in mondi sconosciuti. Ecco perché poi i personaggi prendono strade diverse. Siamo noi che in qualche modo creiamo delle storie che poi nel tragitto narrativo cambiano completamente. Io credo che tutto quello che si scrive all’inizio, anche per quanto concerne le storyboard, ossia le tavole su cui strutturare la storia, non vengono poi seguite pedissequamente. Man mano che vai avanti nella scrittura c’è uno stravolgimento, un itinere continuo ed è questa la cosa più straordinaria che fa della scrittura un’avventura affascinante.
Si dice che scrivere un giallo equivale a impostare e poi risolvere un problema matematico: devi avere tutti i dati per poi riuscire ad arrivare al risultato finale. Quando apponi la parola fine alla storia, vieni mai colto dal dubbio che manchi qualche elemento per renderla credibile come avresti voluto che fosse?
Poiché i miei sono dei gialli atipici in quanto, seppure in maniera maldestra, utilizzo l’architrave del noir – colpi di scena, suspense – perché mi piace accattivare il lettore con le mie storie, in realtà affronto tematiche di fondo etico/sociale che riguardano un po’ tutti noi, per cui, alla fine la soluzione del caso è relativa rispetto ai dubbi che posso aver infuso nel lettore riguardo i mali della società, essendo la storia il pretesto attraverso cui ho modo di affrontare i veri temi che mi interessano.
C’è una scuola di poliziesco cui fai riferimento?
Sicuramente mi sono ispirato a due grandi scrittori: uno è l’americano Robin Cook autore di medical thriller; l’altro è il tedesco Sebastian Fitzek, poco conosciuto, la cui caratteristica è quella di tessere trame che indagano nelle profondità dell’animo umano.
Come nasce il commissario Lombardo?
Nasce per la voglia di creare un personaggio che, pur avendo questo suffisso di commissario come tanti protagonisti di gialli, si distingue perché non si limita a ricercare il colpevole: lui cerca la verità al di là dei labirinti processuali, spesso rischiando di rimetterci la propria vita. È un anti-eroe.
Grandi autori di polizieschi come Conan Doyle e Agatha Christie decisero di far morire i loro eroi – Sherlock Holmes e Hercule Poirot -, ma poi furono costretti, come avvenne soprattutto per il primo, a “resuscitarli: pensi che verrà anche per te il momento in cui sentirai la necessità di far morire il commissario Lombardo?
Nell’Avvoltoio, il terzo romanzo in cui compare, Lombardo c’è andato vicino, visto che va in coma. Per cui questa voglia di non far diventare il personaggio superiore all’autore in me c’è già. Tuttavia, almeno per il momento, lasciamolo vivere ancora per un po’.
Le ambientazione dei tuoi romanzi non sono partenopee, perché?
Ho cercato di allontanarmi dalla mia città, parlando di Milano, della Svizzera e della Sicilia perché penso che quando si parla della propria città, soprattutto in questi romanzi, si rischia di essere melliflui, pittoreschi, oleografici o, paradossalmente, di tessere un’infinità di critiche spesso ingiuste. Però mi rifarò perché, in vista dei quarant’anni dal terremoto dell’ottanta, sto scrivendo un romanzo ambientato tra Campania e Lucania in cui parlerò di quei giorni.
Cosa c’è di Giuseppe Petrarca in Cosimo Lombardo?
Credo che un po’ in tutti i personaggi di un autore c’è una piccola parte dell’autore stesso, finanche nei killer: il male si annida in tutti noi, abbiamo un mostro dentro che dobbiamo tenere nascosto e a bada. In Lombardo c’è la tendenza a ostinarsi a credere nei rapporti umani; nel darsi all’altro senza se e senza ma; nell’impegnarsi nel sociale. Ecco, a costo di passare per immodesto, credo che questi sono aspetti che mi caratterizzano come persona.
Quali sono i progetti per il futuro?
Il romanzo sul terremoto in fase di editing che non è un giallo, ma che tratteggia tutta una serie di problemi che, purtroppo, a distanza di quarant’anni, sono tuttora vivi. Si parlerà di camorra e terrorismo che in quegli anni imperversava..
Dunque non ci sarà il commissario Lombardo!?…
No, assolutamente no. I protagonisti li ho mutuati dalla realtà, da persone che ho conosciuto o di cui ho letto le loro storie e che ho preso come punto di riferimento per dare vita ai miei personaggi. Spero che il pubblico lo gradisca così come dimostra di gradire le storie di Lombardo.