All’epoca in cui scrissi L’ultima Notte, non avevo ancora compiuto 18 anni. Come tanti ragazzi della mia età, tra le mie fantasie erotiche nutrivo quella di vivere una storia d’amore con una bella donna molto più grande di me che mi iniziasse ai segreti dell’amore.
Fu così che, solleticato da questa idea trasgressiva, battei a macchina un racconto di nove cartelle che, insieme a molti altri, per oltre dieci anni decantò in una cartellina nel cassetto della scrivania.
Quando agli inizi dell’estate del 1996 acquistai il mio primo computer, decisi di trascrivere sui floppy i racconti di quando ero ragazzo.
Non appena iniziai a copiare L’ultima Notte, dopo le prime due pagine, mi bloccai davanti allo schermo come ipnotizzato.
All’improvviso percepii che quel racconto doveva “respirare”, che meritava molto più spazio, che la storia d’amore tra il giovane Kayfa e l’esperta Miryam doveva essere narrata in maniera estesa.
Così come meritava molto più spazio la figura di Omar, il pescatore egiziano che, con la propria saggezza, cercherà di dissipare i dubbi del protagonista sull’amore e sulla vita.
Fu così che, quasi fossi posseduto da un demone, iniziai a scrivere di notte per mesi interi, senza mai fermarmi; sacrificando il sonno alla narrazione visto che, lavorando e avendo famiglia, scrivere di giorno mi era impossibile.
Iniziai a lavorare al romanzo a metà settembre. Per ben quattro mesi, senza alcuna ragione apparente, se non per il gusto di scrivere, mi alzavo a notte fonda, entravo nel soggiorno, accendevo il computer e iniziavo a scrivere immerso nel silenzio delle tenebre rischiarate dalla fioca luce del Pc.
A parenti e amici che mi chiedevano perché lo facessi, rispondevo: “sento che devo farlo!”.
Scrivevo di getto e in maniera irrefrenabile, al punto da convincermi che quel fiume di parole ristagnasse da sempre nel mio animo, in attesa di riversarsi sulla carta non appena se ne fosse presentata l’opportunità.
Scrissi con continuità perfino nei fine settimana e nei giorni di festa: accompagnavo mia moglie con i bambini dai miei; tornavo a casa e scrivevo fino a tardi. Solo quando il telefono squillava e la voce esasperata di mia moglie mi chiedeva se avessi finito perché i bambini dovevano dormire, spegnevo il computer e andavo a recuperarli.
Quando agli inizi del nuovo anno scrissi la parola fine al racconto, mi resi conto di aver scritto un romanzo, seppur breve. A quel punto mi misi alla ricerca di un editore. Lo trovai in Tommaso Marotta Editore: a maggio del 1997 il libro vide la luce.
Da allora sono trascorsi esattamente ventitré anni.
Affinché il racconto torni a vivere, ho deciso di ristamparlo con il self publishing di Amazon.
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