L’ATTACCO AL SENATO AMERICANO E QUELLO SPOT TELECOM DI ANNI FA

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L’attacco al Senato americano dei sostenitori di Donald Trump, su istigazione via social dello stesso Trump, per impedire l’ufficializzazione dell’elezione di Biden a nuovo presidente degli USA, e i successivi blocchi dei profili Facebook, Twitter e Instagram del Presidente uscente per evitare che il tycoon se ne potesse servire per aizzare nuovamente la folla, mi hanno ricordato una conversazione che ebbi molti anni fa con un’amica docente di estetica della comunicazione alla Federico II.

Eravamo nel 2004 e le tv trasmettevano uno spot Telecom in cui Gandhi si serviva di internet per diffondere al mondo il proprio messaggio di pace.

Discutendone, la mia amica si disse preoccupata, domandandosi cosa sarebbe potuto accadere se, invece di Gandhi, di internet se ne fosse servito Hitler.

L’intervento dei proprietari dei social per bloccare l’account del Presidente americano se da un lato fosse antidemocratico, come sostiene Massimo Cacciari il quale auspicava che a deciderne la chiusura intervenisse un’autorità terza anziché gli stessi proprietari dei social, è la conferma di quanto potenzialmente possa essere pericoloso il mezzo mediatico allorché venga utilizzato da un soggetto esaltato, mentalmente instabile e, purtroppo, con un nutrito seguito di fan dipendenti da lui qualunque cosa dica o faccia.

Per quanto riguarda noi italiani, tralasciando la politica dove ce ne sarebbero a iosa di esempi di politici che si servono dei social per alimentare nei propri sostenitori la rabbia contro l’avversario politico e diffondere messaggi razzisti e xenofobi, non serve guardare oltreoceano per capire quanto possano essere pericolosi internet e i social. Negli ultimi mesi si sono registrati in Italia risse tra bande di minorenni che si sono date appuntamento per gli scontri tramite Facebook senza che nessuno riuscisse a impedirli. Così come la diffusione in rete di foto e filmati hard – revenge porn – che hanno messo alla gogna uomini e donne ripresi a loro insaputa mentre consumavano un rapporto sessuale, i quali, non sapendo resistere alla vergogna, in alcuni casi si sono tolti la vita. Emblematico il caso di Tiziana Cantone.

Tuttavia è impensabile criminalizzare internet e i social: trattandosi di “semplici” strumenti tecnologici, la loro pericolosità è determinata dall’utilizzo di chi se ne serve. Un innocuo coltello per il pane può risolversi in un mezzo di morte, se impugnato da un folle con tendenze omicide.

Quanto è avvenuto negli USA potrebbe accadere ovunque. Per evitarlo occorrerebbe che le istituzioni intervenissero con leggi adeguate. Ma, facendolo, si rischierebbe di mettere in discussione il principio di democrazia perché ci ritroveremmo nelle stesse condizione della Cina e di tanti altri paesi dove internet e i social sono sotto la lente d’ingrandimento del governo per impedire che all’esterno filtrino informazioni che possano mettere a rischio la sicurezza nazionale. Ultimo esempio è l’avvocato/blogger cinese Zhang Zhan condannata a quattro anni di carcere per aver diffuso notizie su quanto stava avvenendo a Wuhan durante la pandemia.    

Magari chi è preposto alla sorveglianza in rete, anziché andare alla spasmodica ricerca di presunte fake news, una volta che ha appurato di trovarsi su un sito gestito da un folle, dovrebbe prontamente intervenire sollecitandolo a non diffondere messaggi che incitino alla violenza, minacciando di oscurarlo per sempre. E successivamente oscurarlo per davvero, se continuasse imperterrito nella propria propaganda di violenza, anche se si trattasse di un politico con un alto indice di gradimento tra gli elettori.

Non è un caso se il Premier Conte chiese aiuto a Fedez e Chiara Ferragni per convincere i giovani a indossare la mascherina, chiedendo loro di girare uno spot: entrambi hanno un nutrito numero di fans sui social. Per cui si confidava nel loro ascendente per responsabilizzare i ragazzi, laddove sarebbe bastato un minimo di buonsenso.

Quanto è accaduto in America con Trump potrebbe essere il preludio di quello che ci aspetta in un futuro nemmeno tanto lontano.

Ricordiamoci dello spot Telecom, sostituiamo Hitler con Gandhi e non è difficile immaginare a cosa rischiamo di andare incontro!  

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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