Anche quest’anno, come accade ormai da anni, non ho visto Sanremo. Non per snobismo, ma per assoluto disinteresse verso la kermesse canora che tiene milioni di italiani incollati alla televisione, per quasi un’intera settimana, per circa quattro/cinque ore a sera. Per quanto mi riguarda reputo tutto ciò un estremo atto di masochismo verso cui non nutro alcuna attrattiva.
Tuttavia, a seguito del roboante interesse mediatico suscitato dal festival tra giornali, televisioni, radio, social; discussioni in famiglia, in metro, nei negozi, sul luogo di lavoro o altrove, non avendo la possibilità di rifugiarmi in un eremo – ma non è escluso che anche lì non potrei risparmiarmi le notizie sul festival – è come se il festival lo avessi visto anch’io.
Per cui in maniera del tutto involontaria e costrittiva ho appreso della polemica scatenata dal successo nella sezione Cover del rapper napoletano Geolier e della sua, quasi, vittoria finale (sebbene nel televoto fosse abbondantemente avanti con oltre il 60% di preferenze, i voti dei giornalisti e delle radio hanno sovvertito il parere popolare relegandolo al secondo posto).
Questo atteggiamento mi ha ricordato quello che caratterizza alcuni politici all’indomani delle elezioni: non accettando l’esito elettorale, inveiscono contro i cittadini i quali, a loro dire, non sanno votare solo perché si sono espressi in maniera diversa da quella che loro avrebbero auspicato, Calenda docet!
Nel momento in cui si decide di affidare l’esito di una kermesse, qualunque essa sia, al giudizio popolare, i rischi che il, presunto, migliore non vinca sono alti. Ma questi rischi non giustificano una reazione rabbiosa da parte di chi, per la professione che svolge, dovrebbe essere colto e intelligente. Per cui tollerante e in grado di digerire il rospo, se le cose non andassero come avrebbe desiderato dall’alto della propria esperienza. Si sa, quasi sempre i gusti popolari non collimano con quelli dal palato fine!
Si è sempre detto che Sanremo è uno spettacolo nazionalpopolare e uno specchio del paese. Bene, se fosse davvero così, il voto popolare tenderà sempre a premiare chi parla un linguaggio semplice e comprensibile a tutti; non solo per idioma – il napoletano è una lingua che conoscono in tanti -, ma anche per le tematiche dei testi, il luogo di provenienza e lo status sociale del cantante: votandolo e aiutandolo a vincere è come se, attraverso la sua vittoria, ci si riscattasse socialmente. È lo stesso ragionamento che vale per il calcio analizzato in chiave sociologica.
In questo particolare momento politico dove, attraverso l’autonomia differenziata regionale, il paese va verso il secessionismo, non stupisce che una certa stampa inveisca per il televoto che ha decretato il successo del rapper napoletano.
Con il dovuto rispetto per le tragedie vere che si stanno consumando in mezzo mondo tra guerre e carestie, per evitare che una simile tragedia nazionale si ripeta, magari il prossimo anno le votazioni del festival verranno differenziate regione per regione, in base al reddito pro-capite dei cittadini e alla potenza economica delle singole regioni. In questo modo difficilmente potranno vincere Geolier, Angelina Mango e altri cantanti del sud.
Per la gioia di Salvini, che anni fa inveiva cantando contro i napoletani che puzzano, e di tanti settentrionali a cui i meridionali stanno sulle palle. Soprattutto quando non votano come loro vorrebbero!