
Chiunque si cimenti con la scrittura e, almeno una volta nella vita, abbia provato a scrivere un testo autobiografico, anche solo un breve diario, sa benissimo quanto difficile sia essere sinceri; avere il coraggio di affrontare il pudore che impedisce di spalancare le porte della propria vita agli altri e raccontare loro tutto, ma proprio tutto di sé. Senza tralasciare il benché minimo particolare, anche il più imbarazzante o doloroso che, se svelato, potrebbe modificare in negativo la considerazione che essi hanno di lui. O quanto meno alimentare un minimo di perplessità sulla sua effettiva sincerità, rimettendo in gioco in un colpo solo affetti, amicizie, amori, rapporti sociali.
Del resto più di uno scrittore alla domanda se avesse mai pensato di raccontare la propria vita, risponde che non ne sarebbe capace perché difficilmente avrebbe il coraggio di raccontare tutto di sé. E chi ha provato a farlo ha riconosciuto di aver omesso più di un particolare di cui si vergognava. Oppure perché non voleva coinvolgere altre persone, seppure la loro presenza fosse stata incisiva nell’evoluzione della propria esistenza sia nel bene che nel male.
A tale proposito sorge il dubbio che, come tanti suggeriscono, l’età giusta per scrivere un’autobiografia non fosse la vecchiaia perché offre un alibi di ferro: l’età avanzata.
In tarda età la mente, seppur lucida, è facilmente soggetta a vuoti di memoria. Quindi con semplicità si possono sorvolare episodi imbarazzanti o spiacevoli della propria vita attribuendone le causa alla memoria labile per via degli anni. Ma prima di tutto, nel momento in cui si decide di narrare la propria vita, bisogna essere onesti con se stessi. Se così non fosse – vuoi perché ci si vuole autocelebrare, raccontando come da un’infanzia infelice si è assurti all’empireo del successo facendo un’infinità di sacrifici, compreso quello di prostituirsi sia con donne che con uomini; vuoi perché non si ha più la forza di inventare storie e allora si scava nel proprio bagaglio esistenziale alla ricerca di materiale da plasmare con carta e penna per dar vita a una nuova opera letteraria; vuoi per appagare quel bisogno personale, comune a tutti gli uomini, di sconfiggere lo spettro della morte andando a ritroso fino all’epoca della propria infanzia e giovinezza, illudendosi in questo modo di arrestare lo scorrere del tempo; vuoi per un’esigenza economica per cui non sai dire di no a un editore che ti offre un contratto milionario in cambio delle tue memorie – è evidente che l’autobiografia sarà un prodotto commerciale e nulla più. Un racconto come tanti che susciterà emozioni nei lettori, ma di certo non aiuterà l’autore a liberarsi dagli spettri che si annidano nel proprio animo. Di cui invece vorrebbe tanto disfarsi, ma non ci riesce perché non ha il coraggio di focalizzare con la lente di ingrandimento della sincerità tutti quegli aspetti scabrosi che ne hanno caratterizzato l’esistenza.
Leggendo MEMORIE INTIME, l’autobiografia di Georges Simenon, creatore di Maigret, uno degli autori più prolifici e tradotti di sempre, ci si sente smarriti al cospetto di un‘opera monumentale, dall’indiscusso valore letterario, in cui lo scrittore belga con un coraggio e una lucidità disarmanti, supportato da una serie di appunti, di agende e di documenti d’epoca, narra la propria vita esattamente a tre anni dal suicidio della sua amata figlia Marie-Jo.
Dagli esordi giovanili in Belgio come cronista sedicenne a LA GAZETE DI LIEGI, a quelli letterari con romanzi popolari e racconti pubblicati su svariate riviste francesi, fino alla fama mondiale con Maigret, il tomo di quasi 1200 pagine è un sunto cronologico della sua vita, dei suoi successi, dei suoi amori, dei suoi dolori.
Simenon non tralascia nulla: parla delle sue passioni per l’alcol, il cibo, gli amici, le auto, i viaggi, le belle donne senza omettere alcunché. Non tralascia nemmeno l’ambiguo rapporto che lo lega a Boule, la governate che lo segue fin da ragazzina nelle sue peregrinazioni per il mondo in compagnia della moglie di turno, con la quale ha un rapporto intimo noto a tutti, finanche alle sue donne ufficiali, che si interromperà solo in tarda età quando Boule si trasferirà a casa del figlio maggiore dello scrittore per accudirne i figli.
Simenon ha avuto quattro figli: Marc dalla prima moglie Regine Renchon detta Tigy; Johnny, Marie-Jo e Pierre dalla seconda, Denys Ouimet, conosciuta durante il suo lungo soggiorno negli USA in cui si trasferì con la famiglia alla fine della seconda Guerra Mondiale. La presenza di Denise al suo fianco risulterà determinante per la pubblicazione di quest’autobiografia.
Amante degli eccessi, Denise vive il suo rapporto con il genio in maniera ambigua e sofferta tanto da rinchiudersi sempre di più in se stessa, cercando conforto nel lavoro e nell’alcol, determinando le cause che porteranno al suicidio la figlia Marie-Jo. Donna senza scrupoli, Denise partecipa attivamente agli svaghi sessuali dello scrittore, accompagnandosi con lui a prostitute che spesso è lei stessa a scegliere, come ad esempio avviene a Cuba, e donne dell’alta società. La sua instabilità mentale, evidente fin dall’inizio che si conoscono, inciderà profondamente sulla vita di Simenon il quale sacrificherà se stesso per quella donna che alla fine si rivelerà il peggiore dei suoi aguzzini.
Tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta Denise sarà ripetutamente ricoverata in cliniche psichiatriche, ma ormai il seme della tragedia è stato interrato. Completamente fuori di testa, alla mercé di personaggi ambigui che la sfruttano per dilapidare il patrimonio dello scrittore da cui nel frattempo ha divorziato, Denyse pubblica un libro in cui scredita Simenon.
Dopo il suicidio di Marie-Jo, conseguenza di un gesto materno depravato e criminale compiuto da Denyse quando Marie-Jo aveva solo sette anni, Simenon ritorna a scrivere a penna riempiendo pagine di quaderni regalandoci quest’opera unica nel suo genere da cui traspare profumo di verità.
Leggere queste memorie non è soltanto immergersi nella vita di un uomo che ha fatto la storia della letteratura mondiale. Esse sono un esercizio di psicanalisi, una vera e propria terapia utile a Simenon per sopravvivere alla morte della figlia adorata di cui si sente direttamente responsabile.
A più riprese nel corso degli anni, come egli stesso ammetterà più volte nel libro, di avvisaglie testimonianti lo squilibro mentale di Denys lo scrittore ne aveva avute tante. Ma vi aveva sempre sorvolato perché provava pietà verso di lei.
Queste memorie sono una tacita ammissione di colpa da parte di Simenon per non essere stato in grado di difendere il proprio mondo e i propri affetti da una situazione che, indirettamente, egli stesso aveva alimentato con la propria superficialità di giudizi, la troppa benevolenza, la spasmodica tendenza a rintanarsi nella sua “torre” per scrivere mediamente 6/7 romanzi all’anno, delegando a occuparsi della casa e dei suoi affari una donna che, pur essendo sua moglie e la madre dei suoi figli, nutriva rancore verso di lui perché uomo di successo. Una donna che pur di mostrarsi migliore di lui ha distrutto la propria vita e quella di sua figlia!
Credo che leggere queste memorie possa servire non solo a quanti hanno in progetto di realizzare un’autobiografia, ma a chiunque, a prescindere se scriva o no!
Spesso i libri hanno la forza di spalancare le porte del nostro animo, facendoci conoscere aspetti di noi stessi finora ignoti o rispondendo a domande che ci ossessionano da sempre.
Queste memorie appartengono a questa schiera di libri!