DIGNITÀ (racconto)

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Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo in chat due volte a settimana per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sulla dignità. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Una delle ultime cose che mio padre mi disse poco prima di spirare fu, “figliolo, nella vita potranno toglierti tutto, tranne la dignità. Quella, se la perdessi, sarà solo per colpa tua! Procurati un gozzo e puoi stare certo che non la perderai mai!”

All’epoca ero poco più che ragazzino. Non appena era libero dal lavoro, papà usciva presto di casa per imbarcarsi sul suo gozzo ancorato a Baia e andarsene a pesca o semplicemente per starsene qualche ora al largo a farsi cullare dal mare mentre leggeva un libro o oziava pigramente con le mani incrociate dietro la testa a fissare le nuvole e il cielo. Quelle rare volte che, su insistenza di mamma, mi portava con sé, non faceva che ripetermi che quel gozzo era il segreto della felicità, sua e nostra.

Pur non comprendendo cosa volesse dire, lo ascoltavo ammirato. Era mio padre, per dio!  

A quanti lo accusavano d’essere un asociale e un egoista per via di quel suo modo di estraniarsi dal mondo e di delegare a mamma la gestione famigliare, replicava sospirando con un sorriso.

Quella parola, dignità, per mio padre era una vera e propria ossessione! Secondo lui null’altro aveva valore nella vita quanto il camminare a testa alta, fa niente se mentre incedeva con passo deciso tra la gente per recarsi a lavoro in borghese indossasse una giacca lisa e un paio di scarpe risuolate più volte. Quell’apparente bella mostra della propria povertà, non gli creava imbarazzo ma lo faceva sentire più che mai sicuro e orgoglioso di sé.

Lui che era sottoufficiale della finanza e tante, troppe volte era stato avvicinato da qualche funzionario aziendale o pezzo grosso perché chiudesse un occhio, se non addirittura entrambi, su alcune irregolarità nei registri contabili in cambio di un bel gruzzoletto di soldi o di qualche favore particolare.

Molti suoi colleghi dall’aria irreprensibile, nel corso degli anni avevano ceduto alle lusinghe dei corruttori, macchiandosi la coscienza dell’onta della corruttibilità, distruggendo in un attimo anni e anni di onorato servizio, gettando al macero la propria reputazione. Per garantire a sé e alla propria famiglia un tenore di vita per niente compatibile con il misero stipendio da finanzieri, alla lunga non si erano fatti scrupoli di calpestare la propria dignità, giustificandosi con l’affermare, “si vive una sola volta, meglio farlo agiatamente, senza arrecare sofferenze e ristrettezze ai propri cari!”.

Seppure non condividesse quel modo di fare, papà mai li aveva biasimati. Quando capitava che ne parlava, quasi sempre a tavola mentre pranzavamo o cenavamo, si limitava a dire, “ognuno è artefice del proprio destino e della propria reputazione. Se una persona è oggetto di pessima nomea, non sempre è a causa delle malelingue. A volte sono gli atteggiamenti e le parole a qualificarla per ciò che è realmente. Se vuoi essere rispettato, non solo devi rispettare, ma metterti nella condizione di farti rispettare. Lo so che non è semplice, per farlo devi sacrificarti, ponderando ogni gesto e ogni parola. E soprattutto devi agire in maniera coerente con ciò che affermi, sempre. A costo di morire di fame e far morire di fame la tua famiglia!”

Quando fu colto dall’infarto mentre rientrava da lavoro e, pochi attimi prima di spirare, steso sul letto circondato dagli affetti più cari, mi chiamò a sé sussurrandomi quella frase, “figliolo, nella vita potranno toglierti tutto, tranne la dignità. Quella, se la perdessi, sarà solo per colpa tua. Procurati un gozzo e puoi stare certo che non la perderai mai!”, ho sempre improntato la mia vita a salvaguardare la mia dignità di uomo anteponendola alla felicità della mia famiglia.  

La mia intransigenza mi ha messo contro il mondo intero, sia sul lavoro sia nel privato. Mia moglie e mio figlio hanno tanto sofferto per questo mio impegno solenne. Soprattutto mio figlio nel vedersi discriminato dagli altri ragazzi perché non vestiva alla moda non potendocelo permettere, o perché non frequentava determinati ambienti perché costosi o perché, reputando vi regnasse l’ipocrisia, mi ero sempre imposto che li evitasse, seppure sapessi quanto ci tenesse a farne parte.

Ho cercato di serbare in ogni modo la mia dignità, rifiutando di scendere a compromessi in cambio di un ruolo di prestigio sul piano professionale e di scambi di favori nel privato, obbligando i miei cari ad adattarsi alle mie scelte e al mio modo di fare ritenendomi sempre nel giusto.

Potrei dirmi realizzato per non essere mai sceso a patti con nessuno, anche se ciò ha influito negativamente sulla mia carriera, evitando però che gli altri mi indicassero come uno di loro, frase che mi indignava più di quanto una bestemmia possa indignare un credente. Nemmeno per un istante ho chinato lo sguardo o mi sono guardato attorno per vedere cosa facessero gli altri. Preoccupandomi sempre e solo di camminare in avanti a testa alta, rasentando l’alterigia.

Eppure tutto ciò, se da un lato ha affermato quanto tenessi alla mia dignità dall’altro ha contribuito a far sì che mia moglie cadesse in depressione e mio figlio avesse difficoltà a relazionarsi con i propri coetanei, manifestando mentre cresceva visibili comportamenti da disadattato perdendosi tra droga e videopoker.

Chissà se mio padre continuerebbe ad affermare che la salvaguardia della dignità è tutto nella vita di un uomo, se vedesse che preoccupandomi di lei ho distrutto la vita di chi mi stava accanto, e di riflesso anche la mia?

Solo ora credo di aver compreso perché, ogni qual volta era libero da impegni di lavoro, amasse uscirsene da solo in barca: l’unico modo per salvaguardare la propria dignità, evitando di influenzare con l’intransigenza che ne derivava la vita degli altri, era isolarsi dal mondo.

Stando da soli si può essere stakanovisti fino alla morte, senza minimamente intaccare le esigenze e le sensibilità altrui. Nel momento in cui si vive in coppia o si ha una famiglia, scendere a compromessi per rendere equilibrato il vivere comune è inevitabile, dispiace dirlo.

E alla fine anche mio padre fu costretto a fare a un compromesso, con se stesso: vivo e vi lascio vivere!  

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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