Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo periodicamente in chat per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sulla rinascita. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.
Per chi come lui aveva della vita una visione induista – credeva che qualunque evento accadesse nella vita di un uomo fosse l’effetto di una sua stessa azione compiuta in passato, se non addirittura in una vita precedente – il fatto che la data del suo licenziamento corrispondesse con quella del suo compleanno lo convinse che quella coincidenza fosse un esplicito segnale della vita affinché non si demoralizzasse: era come se in quel modo gli si dicesse che stava iniziando un nuovo tempo; che invece di demoralizzarsi, come gli stava accadendo, non dovesse disperare perché per lui c’erano in serbo chissà quali sorprese.
Oddio, a dire il vero nel corso degli anni di sorprese la vita gliene aveva fatte fin troppe, per lo più non esaltanti, alcune addirittura pessime. Tuttavia quelle poche buone e belle che gli aveva donato compensavano a sufficienza le sofferenze patite.
Eppure, malgrado il dolore avesse quasi sempre funto da compagno di viaggio, mai aveva inveito contro la vita né contro il mondo sicuro che quella sofferenza fosse il risultato dell’egoismo e dell’opportunismo che avevano caratterizzato il suo essere.
Quando l’ormai ex datore di lavoro gli presentò la lettera di licenziamento perché la firmasse, nell’afferrarla sussurrò:
“Che bel regalo di compleanno che mi state facendo!”
“Perché?”
“Il mio primo giorno da disoccupato coinciderà con la mia data di nascita!”
L’uomo sbiancò.
“Ma che dici?” mormorò.
Per tutta risposta estrasse dal portafoglio la carta di identità e gliela mostrò.
“Mi dispiace” sussurrò lui abbassando lo sguardo da dietro gli occhiali.
“Sapeste a me quanto dispiace” replicò. Firmò la lettera e gliela riconsegnò trattenendosi la copia.
La mattina del suo compleanno con la moglie fecero colazione al bar, seppure ci fosse ben poco da festeggiare.
Nei giorni seguenti a quanti lo incontravano e gli chiedevano come stesse, rispondeva “bene”. A chi lo esortava a non disperare perché “sai come si dice: si chiude una porta e si spalanca un portone” rispondeva, “speriamo”. Addirittura c’era chi sembrava invidiarlo per quella condizione precaria perché, a suo dire, finalmente avrebbe avuto tutto il tempo per dedicarsi alle proprie passioni, avrebbe voluto rispondere “sarebbe stato così se fossi in pensione, ma mancando più di dieci anni a quel momento, o mi trovo un nuovo lavoro che mi garantisca un reddito o nell’attesa farò la fame”, si limitava a sorridergli, aggiungendo “certamente!”
Col passare dei giorni imparò a sue spese quanto le persone fossero prodighe di parole, ma poi, a conti fatti, quando hai davvero bisogno di loro, poche sono quelle che si ricordano di te. Gli amici – sarebbe meglio dire, quelli che per lo più credeva tali – sparirono quasi tutti. Quei pochi che continuarono a frequentarlo avevano, guarda caso, le sue stesse difficoltà, confermando quanto fosse vero il detto “mal comune mezzo gaudio”.
A quelli che sparirono non attribuì però alcuna colpa né serbò alcun rancore: i problemi di un uomo appartengono solo a lui, si diceva, per cui era giusto che si ritrovasse da solo con i suoi. La gente è sempre ben disposta a condividere le gioie di un altro, anche perché quando un uomo le condivide è talmente felice che è sempre prodigo verso gli altri.
Il dolore e la sofferenza non piacciono a nessuno, soprattutto perché molti temono che, dimostrandosi addolorati e dispiaciuti per chi patisce quella condizione di sofferenza, il soggetto possa cercare rifugio in loro, costringendoli a farsi carico di problemi che non gli appartengono.
Una mattina, mentre camminava senza una meta, giusto per passare il tempo, novello San Paolo sulla via di Damasco, all’improvviso fu colto da un’illuminazione.
La rinascita tanto auspicata rappresentata dalla coincidenza di date c’era stata davvero, ma lui se ne rendeva conto solo allora: vivendo quell’esperienza dolorosa e precaria che svuotava di ogni senso l’esistenza, stava avendo modo di valutare chi gli volesse veramente bene e chi invece no.
Ai secondi non assegnò alcuna colpa, anche perché non poteva escludere che, invertendo i ruoli, a sua volta non si fosse comportato allo stesso modo. Dei primi marchiò i nomi a fuoco sul cuore: non appena avrebbe avuto l’occasione, seppure in una vita successiva, li avrebbe ripagati del loro affetto.
Smise di preoccuparsi del proprio futuro: “qualunque fosse , “è quello che mi merito”, si disse. “La vita è il campo in cui seminiamo il bene e il male attraverso le azioni che compiamo! Noi soli siamo gli artefici del nostro destino. Aspettiamo che la pianta germogli e vediamo quali saranno i suoi frutti.”
Con quella certezza, ogni mattina incominciò a risvegliarsi carico di buoni propositi. La sera, prima di addormentarsi, si faceva un esame di coscienza, trovando sempre un motivo di gioia.
Senza che se ne rendesse conto, dentro di lui incominciò a germogliare la pianta dell’ottimismo e del buonumore.
Una mattina ricevette una telefonata in cui lo si invitava a un colloquio di lavoro.
Sorridente si vestì formale, facendo ben attenzione al nodo della cravatta. Qualunque fosse stata la proposta che gli avrebbero fatto, non voleva dare di sé un’immagine deprimente. La rinascita, qualunque aspetto avesse, meritava rispetto e, soprattutto, essendo femmina, doveva essere affascinata nella speranza che si lasciasse conquistare affinché si decidesse di regalarci un’altra opportunità.
Rinascita= ripresa di vitalità “Sorridente si vestì formale, facendo ben attenzione al nodo della cravatta. Qualunque fosse stata la proposta che gli avrebbero fatto, non voleva dare di sé un’immagine deprimente. “
È questo il punto essenziale : riprendere o forse, meglio ancora, far emergere una vitalità assopita.
Grazie, Lella!