SENSO DI COLPA

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Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo periodicamente in chat per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sul senso di colpa. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Quel giorno, mentre in auto rientrava a casa, sentì forte l’impulso di deviare nel viale sterrato che attraversava il bosco. Quell’improvviso cambiamento, per un abitudinario come lui, testimoniava che qualcosa dentro di sé stava cambiando.

Là per là non si rese nemmeno conto di aver imboccata una strada diversa. Solo dopo alcuni chilometri realizzò di trovarsi sulla scorciatoia che percorreva da giovane quando, dopo studiato, andava a lavorare nell’azienda di famiglia. Fu proprio su quel sentiero che anni prima avvenne l’evento che per sempre gli avrebbe cambiato la vita.

All’epoca aveva ventiquattro anni: camminava a passo veloce quando udì un lamento levarsi tra gli alberi. Incuriosito si incamminò in quella direzione. Steso sul terreno, con la schiena poggiata al tronco di un albero, c’era un uomo in tenuta da jogging con la mano premuta sul petto, gli occhi chiusi. Era il proprietario dell’azienda concorrente. Per anni le due ditte s’erano spartite fette di mercato senza mai invadere l’una lo spazio dell’altra.

Avendo un senso degli affari molto marcato, più volte aveva chiesto al padre perché limitare il business a un territorio ristretto quando lo si sarebbe potuto ampliare invadendo quello della concorrenza con un prodotto qualitativamente identico ma di costo inferiore!?

La risposta era sempre la stessa: tutti dobbiamo vivere. Bisogna smetterla con questa blasfemia che il mercato è una guerra e che il concorrente va schiacciato. Ragionando così si corre il rischio di diventare degli assassini!

Pur non condividendo quella visione etica, non insisteva per non mancargli di rispetto. Riproponendosi che non appena gli sarebbe subentrato alla dirigenza le cose sarebbero cambiate.

Si avvicinò all’uomo: respirava in maniera impercettibile. Istintivamente prese dalla tasca il cellulare per allertare il 118.

Si arrestò! Rimise il telefono in tasca e restò a fissarlo fino a che non spirò. A quel punto si fece il segno della croce e rientrò a casa senza dire niente a nessuno, giustificando il proprio ritardo con il bisogno che aveva di fare quattro passi.

Come aveva supposto, la morte del titolare segnò il declino dell’azienda: fallì nel giro di pochi mesi, lasciando senza lavoro centinaia di dipendenti. Contestualmente quel dramma rappresentò per la sua il trampolino di lancio sul mercato internazionale.

Commentando la scomparsa dell’amico imprenditore, suo padre si rammaricò che nessuno fosse passato per il bosco per aiutarlo. Stando ai medici, per salvarlo i soccorsi sarebbero dovuti intervenire entro dieci minuti. Diversamente, pur sopravvivendo, non sarebbe stato più lo stesso in quanto la lunga mancanza di ossigeno al cervello ne avrebbe compromesso in maniera irreversibile le funzioni cerebrali riducendolo a un vegetale. La sua morte aveva risparmiato ai famigliari la sofferenza di ritrovarsi in casa un morto vivente, obbligandoli a dilapidare una fortuna nell’accudirlo senza alcuna speranza di ripresa.

Subito dopo i funerali, con il consenso degli altri soci, il padre assunse alcuni dei dipendenti licenziati, rammaricandosi di non poterli prendere tutti. La scelta venne effettuata tenendo conto dei carichi familiari e dell’età anagrafica: chi aveva figli o era più giovane fu assunto a tempo indeterminato. A tutti quanti gli altri fu concesso un bonus di mille euro. Quei soldi furono versati direttamente dal conto personale del padre. L’ennesima assurdità, pensò tra sé!

Quando l’auto giunse nel punto in cui anni prima aveva incrociato il moribondo, spense il motore e si fermò a guardare attraverso il parabrezza, il tronco a cui il disgraziato era poggiato.

Rientrò in casa giusto per l’ora di cena. Alla moglie che gli chiese dove fosse stato, rispose: “a fare un giro per le colline”.

L’indomani, non appena fu in azienda, telefonò al padre chiedendogli di raggiungerlo in ufficio.

“Mi sembra un’ottima idea” disse il genitore dopo averlo ascoltato in silenzio. “Mi domandavo se a parlare fossi tu o un altro!” aggiunse perplesso.

Stesso quel giorno convocò un consiglio di amministrazione straordinario, comunicando che avrebbero rilevato i capannoni in disuso dell’altra azienda, trasferendovi una parte della loro produzione diretta al mercato internazionale; che avrebbero proposto alla vedova e ai figli di entrare in società con una quota maggioritaria, acquistando le azioni all’ideale prezzo di un centesimo l’una; che avrebbero assunto i restanti dipendenti licenziati rimasti senza nuova occupazione e gli eventuali figli in età da lavoro.

Nel giro di un anno la nuova azienda decollò determinando l’ulteriore crescita della casa madre!

Un giorno che in macchina stava riaccompagnano a casa il padre, imboccò il sentiero e si fermò nel luogo della disgrazia.

“È lì che morì!” mormorò fissando l’albero. “Chi?” domandò. “Lui!” “E tu come lo sai?” “Lo so e basta” sussurrò.

Riavviò il motore e proseguì.

Rientrato a casa, anziché cenare, il padre si richiuse nello studio. Aprì il mobiletto del bar e si versò un bicchiere di whisky. Bevendo si avvicinò alla finestra che affacciava sulle colline arrossate dal tramonto.

Man mano che il liquido ambrato gli fluiva in gola, il passato ritornò a vivere: subito dopo pranzo era uscito di casa, incamminandosi nel bosco per raggiungere l’azienda. All’improvviso distinse tra gli alberi l’amico imprenditore fare jogging. Lo chiamò. Nel momento in cui si girò, l’uomo fu colto da un malore e stramazzò al suolo. Lui lo soccorse. L’uomo respirava a fatica.

Lo prese sotto le braccia e, trascinandolo sul terreno, lo accostò con la schiena all’albero. Quindi prese il cellulare per chiamare i soccorsi. Nel momento in cui stava componendo il numero, fu colto da un’illuminazione. Chiuse la comunicazione e andò via.

<<Dove vai?>> mormorò l’infartuato, fissandolo attraverso gli occhi socchiusi.

<<A cercare soccorsi, qui non c’è campo!>>

<<Grazie, amico mio>> sorrise, rilassandosi.

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
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