GLI ANGELI HANNO BISOGNO D’AMORE (racconto)

0 0
Read Time:6 Minute, 48 Second

Ogni volta che si trasferiva nella casa in collina lasciatagli dal nonno per trascorrere un periodo di vacanza, Federico era solito ripetere i gesti di quando, ragazzino, vi passava le estati. In quel modo, diceva, aveva l’illusione di rallentare lo scorrere del tempo, di sconfiggere la vecchiaia.

Quella mattina si alzò che il cielo appena rischiariva all’orizzonte. Zaino in spalla, uscì di casa e si avviò su in paese da dove avrebbe poi proseguito sul sentiero del bosco fino alla pozza d’acqua a mille metri che alimentava uno dei due fiumi del paese. Per raggiungerla avrebbe dovuto camminare almeno per un paio di ore, da solo, immerso nella fitta boscaglia per un dislivello di quasi seicento metri.

Quando giunse in piazza notò una strana agitazione: un nutrito gruppo di persone discuteva animatamente attorno a una pattuglia dei carabinieri. Accanto alla gazzella era parcheggiata una jeep della protezione civile.

Incuriosito si avvicinò per capire cosa stesse succedendo: un bambino mancava da casa dal pomeriggio del giorno prima. I genitori, una coppia romana in vacanza, dopo averlo cercato a lungo nel bosco, in serata avevano dato l’allarme. Le ricerche si erano protratte per tutta la notte alla luce delle torce e delle fotoelettriche con esito negativo. Ora si stava facendo il punto sulla cartina geografica aperta sul cofano dell’auto, dividendo i soccorritori in gruppi di due, affidando a ognuno un’area precisa in cui effettuare le ricerche.

“Tu dove vai?” gli chiese il maresciallo che stava tracciando una linea rossa sulla mappa.

“Salgo alla pozza”

“Bene, ti lascio il mio cellullare, se dovessi vedere o trovare qualcosa che indichi la presenza del bambino, chiamami subito!”

“Va bene! Come si chiama il bambino?

“Valerio!”

Camminò nel bosco, guardandosi attorno con attenzione per individuare eventuali tracce dello scomparso. Quando finalmente giunse alla pozza, vide seduto sul bordo della vasca naturale creata dalle rocce un bambino lanciare sassi nell’acqua. Istintivamente portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni per prendere il cellulare e avvisare che lo aveva trovato. All’improvviso desistette e gli si avvicinò.  

“Ciao” disse, sedendosi al suo fianco. Si sfilò lo zaino dalle spalle e lo appoggiò sul terreno.

“Ciao”

“Hai fame?”

“Un poco”

Aprì la sacca, prese un tramezzino al prosciutto e glielo offrì.

“I tuoi genitori ti stanno cercando, sono disperati!”

“I miei genitori non mi vogliono bene. Dicono che sono cattivo: mi sgridano e mi picchiano sempre!”

“Che paroloni” disse, porgendogli la borraccia.

“Invece è vero! Da quando siamo qui non hanno fatto altro che sgridarmi e picchiarmi. E lo stesso fanno quando siamo a casa. Quando faccio qualche marachella o porto un brutto voto, mamma mi picchia sempre. E poi mi fa picchiare da papà quando torna da lavoro: lui prima mi saluta con un bacio e poi, dopo averla ascoltata, me le dà di santa ragione!”

“Non è facile fare i genitori…”

“I genitori devono amare e proteggere i propri figli, non picchiarli e umiliarli come fanno loro con me!”

“I genitori prima di tutto devono educare i figli: se davvero è come dici, forse le botte te lo meriti!?…” disse senza convinzione.

“No, non me lo merito. Sono dei cattivi genitori e io sono stanco di vivere con loro!”

“Che cosa ti hanno fatto di così grave da meritare una punizione simile?”

“Te l’ho detto, mi sgridano e picchiano sempre. E poi…”

“E poi?”

“Ieri mattina papà mi ha portato con sé a fare un giro in paese. C’era una bancarella piena di giocattoli e il luna park: non mi ha comprato alcun giocattolo né mi ha fatto fare un giro sulle giostre. Poi siamo passati davanti alla gelateria: c’erano tanti bambini che leccavano golosamente i loro coni, nemmeno mi ha chiesto se ne volessi uno anch’io!”

“Glielo potevi domandare…”

Si girò a guardarmi.

“Tu porteresti tuo figlio in un posto dove vendono o ci sono cose che gli piacciono senza accontentarlo?” mi domandò.

“Io non ho figli!”

“Ma se li avessi, lo faresti?”. Diede un altro morso al tramezzino.

“Penso di no! Ma è facile rispondere in questo modo quando non si è i diretti interessati”

“Dite tutti così. La verità è che molte persone non sanno fare i genitori. Al posto dei figli vorrebbero dei soldatini che scattino sull’attenti a ogni loro comando! I bambini vanno seguiti, coccolati, amati, educati, non trattati come se fossero dei delinquenti da punire o degli animali da ammaestrare!”

Ascoltandolo capì che Valerio nutriva un profondo risentimento nei confronti della madre e del padre.

“Anche io quando ero bambino, spesso venivo sgridato e picchiato dai miei perché disubbidivo o facevo qualche mascalzonata: a volte papà mi prendeva addirittura a cinghiate, sapessi che dolore, ma mai m’è passato per la mente di andare via di casa; i genitori vanno sempre rispettati, anche se non ci piacciono… E poi, quando mi comportavo bene o a scuola prendevo un bel voto, mi regalavano un giocattolo, mi portavano alle giostre e mi compravano il gelato. Non dirmi che i tuoi non lo hanno mai fatto!?”

Il bambino diede l’ultimo morso al tramezzino, fissando la propria immagine riflessa nello specchio d’acqua sorridergli!

“Quando può, papà mi porta a giocare a pallone nel parco o, quando siamo a casa, giochiamo insieme con i soldatini, mentre mamma mi aiuta a fare i compiti e mi racconta tante belle storie prima di addormentarmi e, quando l’accompagno a fare la spesa, se non faccio i capricci, mi compra sempre un giocattolo, un giornalino o le caramelle.”

“Cosa ti piace leggere?!

“Topolino e i Manga!”

“Anche a me piaceva Topolino”. Diede uno sguardo all’orologio. “S’è fatto tardi, che ne diresti se rientrassimo in paese? I tuoi genitori saranno preoccupati!”.

“Va bene, andiamo” sospirò Valerio: si alzò. Lui fece altrettanto. Si infilò lo zaino in spalla e si avviò sul sentiero seguito dal bambino. Mentre camminavano in fila indiana, si udì in lontananza il suono della campana del paese scoccare mezzogiorno.

“È mezzogiorno, giusto in tempo per il pranzo” disse, voltandosi di spalle. Di Valerio non c’era traccia. Come un disperato incominciò a guardarsi intorno, chiamando a squarciagola: “Valerio… Valerio… Valerio…”

Nessuna risposta. Prese il cellulare dalla tasca e chiamò i soccorritori.

“Pronto” risuonò all’orecchio la voce del maresciallo.

“Maresciallo, avevo trovato il bambino ma è sparito di nuovo!”

Dall’altro lato ci fu un attimo di silenzio.

“Se è uno scherzo, è di pessimo gusto!” fece poi la voce del sottufficiale.

“Maresciallo le assicuro che il bambino era qui con me, stavamo rientrando al paese quando all’improvviso è sparito: si sarà nascosto nella boscaglia, non riesco a trovarlo!”

“Il bambino lo abbiamo trovato pochi minuti fa accasciato sulla riva del fiume, giù in paese. Probabilmente è caduto nell’acqua e la corrente lo ha trascinato fin lì. Sembrava non ci fosse nulla da fare, invece, per grazia di Dio, mi hanno appena comunicato che si è ripreso proprio un attimo prima che mi chiamassi!”

“Meglio così” sussurrò, sgranando gli occhi.

L’indomani si recò in ospedale a trovare Valerio: il bambino, circondato dagli affetti familiari, leccava un cono gelato alla crema. La mamma gli sedeva accanto: abbracciandolo, gli leggeva un fumetto. Ai piedi del letto c’era una marea di giocattoli che gli aveva portato il papà che lo fissava con gli occhi umidi di pianto.

“Ciao, Valerio” lo salutò Federico.

Il bambino lo guardò con gli occhi socchiusi: “Chi sei?” domandò, continuando a leccare il cono.

“Non ti ricordi di me?”

“No!”

“Come stai?”

“Bene!”

“Sono contento! Ti ho portato dei fumetti”. Appoggiò sulla sedia vicino al letto una pila di Topolino e Manga.

Restò per qualche istante nella stanza, fissato con riconoscenza dai genitori di Valerio il cui sguardo si alternava tra lui e i giornaletti.

“Ora vado” disse imbarazzato, accarezzando la fronte del ragazzino. Fece per uscire.

“Ehi” lo chiamò Valerio.

Si girò: “Sì?”

Il bambino gli fece cenno di avvicinarsi. Quando i loro volti furono l’uno di fronte all’altro, Valerio lo baciò sulla guancia macchiandola di gelato. Poi gli sussurrò all’orecchio: “Grazie, se non fosse stato per te, non penso sarei ritornato!”

About Post Author

vincenzo giarritiello

Nato a Napoli nel 1964, Vincenzo Giarritiello fin da ragazzo coltiva la passione per la scrittura. Nel 1997 pubblica L’ULTIMA NOTTE E ALTRI RACCONTI con Tommaso Marotta Editore; nel 2000 LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara. Nel 1999 la rivista letteraria L’IMMAGINAZIONE pubblica il suo racconto BARTLEBY LO SCRIVANO… EPILOGO, rivisitazione del famoso racconto di H. Melville. Dal 2002 al 2009 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi tra cui uno presso la sezione femminile dell’IPM di Nisida, esperienza che racconta nel libro LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO edito nel 2019. Tra il 2017 e il 2020 ha ristampato L’ULTIMA NOTTE e pubblicato SIGNATURE RERUM (il sussurro della sibilla), RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PRADISO IN TERRA e la raccolta di racconto L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI. Nel 2020 ha pubblicato con le edizioni Helicon il romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒCON IL MARE. Nel 2021, sempre con le Edizioni Helicon, ha pubblicato il romanzo UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer). Ha collaborato e collabora con diverse associazioni culturali (Magaris; Lux in fabula), con riviste cartacee e digitali tra cui IL BOLLETTINO FLEGREO, NAPOLI PIÙ, MEMO, GIORNALE WOLF, COMUNICARE SENZA FRONTIERE, QUICAMPIFLEGREI.IT. Nel 2005 ha aperto il blog LA VOCE DI KAYFA e nel 2017 LA VOCE DI KAYFA 2.0. Dal 2019 ha attivato il sito www.vincenzogiarritiello.it. Per la sua attività di scrittore e poeta in vernacolo ha ricevuto riconoscimenti letterari.
Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleepy
Sleepy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *