
Di seguito un breve estratto da UN UOMO BUONO (mio padre malato di Alzheimer) (Edizioni Helicon)
[…] Oltre a quello con le pizze, a ricordarmi il calore familiare c’è un altro cartoccio che papà spesso aveva con sé quando la domenica rientrava a casa dalle sue passeggiate per il centro storico o dal lavoro se c’era dello straordinario da sbrigare. Mi riferisco a quello dei dolci che comprava in pasticceria lungo la strada prima di rincasare. A quei tempi la domenica era davvero un giorno di festa con una propria sacralità che tutti rispettavano, compresi i commercianti che si guardavano bene dall’alzare le saracinesche anche in quell’occasione.
La domenica tutta la famiglia era riunita, pertanto il sabato la padrona di casa decideva cosa avrebbe cucinato di speciale per il giorno dopo. In casa mia il menù domenicale lo concordavano mamma e nonna Giovanna con l’ausilio di zia Tetta. Il pranzo quasi sempre consisteva in: pasta con il sugo di ragù; carne al ragù che la nonna iniziava a cucinare il sabato sera, o braciole con contorni vari e crocché di patate, arancini di riso, finocchi e carciofi fritti; frutta e dolce.
Spesso l’alternativa alla pasta erano gli gnocchi di patate rigorosamente fatti in casa che venivano preparati il giorno prima. La loro realizzazione contemplava un rituale a cui partecipavamo anche io e mia sorella: raccoglievamo nel piatto gli gnocchi tagliuzzati da mamma sul tagliere in cucina e li sparpagliavamo come tante gocce ad asciugare sul lenzuolo dispiegato sul letto in camera dei miei. Pur non essendo la cucina di casa particolarmente spaziosa, ricordo la gioia con cui la domenica ci accomodavamo a tavola: papà e nonna Giovanna a capotavola, mia sorella e io con le spalle al muro, zia Tetta e mamma di schiena alla cucina per avere l’agio di servire e sparecchiare.
Quei momenti di calore familiare erano resi eccitanti dalla speranza di una vincita al totocalcio che avrebbe potuto cambiarti davvero la vita per sempre. Come tanti italiani, anche papà il sabato pomeriggio compilava la schedina con i tredici pronostici delle partite della domenica e poi scendeva a giocarla al bar dello sport.
A quel tempo le partite di calcio iniziavano alle 15. Alle 15,45 le radio degli italiani si sintonizzavano su “Tutto il Calcio minuto per minuto” per seguire in diretta i secondi tempi – a partire dalla fine degli anni settanta, la trasmissione iniziò unitamente al calcio di inizio dei primi tempi -, tenendo a portata di mano carta e matita per aggiornare i risultati in tempo reale e controllarli con quelli segnati sulla schedina nella speranza di fare almeno dodici che, se non avesse cambiato la vita, almeno avrebbe regalato la futile soddisfazione di aver vinto qualcosa. A quei momenti di speranza quasi sempre seguiva la cocente delusione perché uno o due risultati cambiavano nei minuti finali, distruggendo in un attimo i sogni di gloria di un intero nucleo familiare.
Per tutta la durata delle radiocronache cui facevano da sfondo le inconfondibili voci di Enrico Ameri e Sandro Ciotti, speranzoso me ne stavo seduto accanto a papà ad ascoltare le partite e a controllare i risultati, confidando nella buona sorte. Pur non avendo mai vinto nulla – papà collezionava un’incredibile sfilza di dieci e undici che spesso lo mandavano su tutte le furie – quei momenti li ricordo con particolare gioia e nostalgia perché condividevamo gli stessi stati d’animo. […]
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