La mia prima gara la corsi il 22 aprile del 2007. Fu la Mezza Maratona di Napoli che si svolgeva in contemporanea alla IX edizione della Maratona di Napoli. Ricordo l’emozione che provai quando, giunto al villaggio maratona in Piazza del Plebiscito, appuntai sulla maglia il pettorale 2232 che avevo ritirato il giorno prima.
Quella mattina con me c’erano Pasquale che avrebbe corso la sua prima maratona e Rosario che invece avrebbe partecipato alla mezza. Poco prima del via Pasquale mi suggerì di partire piano per non bruciare energie e, soprattutto, di non seguire Rosario perché aveva un passo molto più veloce del mio.
In preda all’eccitazione della mia prima volta, nel momento in cui dettero il via, dimenticai gli ammonimenti di Pasquale e iniziai a correre fianco a fianco a Rosario.
Percorremmo più della metà della prima parte di gara a un’andatura di 4’:34” a chilometro. Mentre da Largo Sermoneta ritornavamo verso il lungomare Caracciolo, all’altezza della Rotonda Diaz incrociammo il gruppo dei maratoneti diretto verso Piazza Sannazzaro, tra loro c’era Pasquale. Non appena mi vide, intuendo che stavo andando al di sopra delle mie possibilità, mi invitò a rallentare.
Anche in quel caso il suo avvertimento sfumò come nebbia al sole. Ero talmente preso dall’entusiasmo di stare facendo una buona gara e di poterla chiudere sotto l’ora e quaranta che nemmeno per un momento fui tentato di rallentare, lasciando che Rosario proseguisse da solo.
All’altezza di Castel dell’Ovo, in prossimità del ristoro al quindicesimo chilometro, mi fermai per afferrare una bottiglietta d’acqua. All’atto di ripartire, le gambe si bloccarono. Gli ultimi sei chilometri furono un vero e proprio inferno acuito dal vedermi sorpassato da quanti, inizialmente, mi ero lasciato dietro con estrema facilità.
La mortificazione più grande la subii nel momento in cui, terminata la salita di Via Duomo, mi immisi su Via Foria in direzione Via Toledo per rientrare a Piazza del Plebiscito dove era il traguardo: sulla fermata dell’autobus in attesa c’era una vecchina la quale, vedendomi, disse, “Mamma mia, giuvinò, che brutta faccia ca tenite, pecché nun ve fermate?”.
Udendola inizialmente mi preoccupai poi iniziai a ridere immaginandomi chissà quale espressione avesse il mio viso al punto da indurla a preoccuparsi per me.
Nel momento in cui iniziai gli ultimi due chilometri leggermente in discesa di Via Toledo, probabilmente grazie alle parole di quella donna che mi avevano distratto dalla fatica, le gambe ripresero a girare nel verso giusto, consentendomi di chiudere la gara in un’ora e quarantasei minuti.
A distanza di tanti anni, ancora oggi, ogni qualvolta ripenso a quell’episodio, sorrido e ringrazio quella donna. Le sue parole furono rigeneranti. Probabilmente senza di lei la mia prima volta da runner in gara sarebbe culminata in un mortificante ritiro anziché in un dignitoso arrivo.