IL VENTO DEL DESTINO, di Martina Fiorenza, edito da Kindle e disponibile su Amazon, è un gradevole racconto di poco più di 50 pagine che si lascia leggere piacevolmente come se bevessimo una bibita fresca e dissetante. Ambientata alla fine degli anni trenta, la storia narra le vicende di Ester ed Eva, due ragazzine polacche di origine ebrea costrette a vivere la tragedia dell’olocausto.
Scritto in prima persona – la voce narrante è Ester –, a quanti avranno la fortuna di leggerlo, il libro stupirà per la freschezza e maturità di linguaggio, per la capacità dell’autrice di immedesimarsi nel personaggio dando voce a Ester – in gergo tecnico ciò si chiama punto di vista -, per la descrizione degli ambienti e quella psicologica dei personaggi, per i dialoghi bene impostati da far sorgere il dubbio che davvero chi scriva non abbia vissuto quella tragica vicenda.
Vi chiederete perché il libro vi “stupirà”. Vi stupirà perché l’autrice ha solo quattordici anni: Martina si è licenziata quest’anno all’IC 3° Gadda di Quarto. In un’epoca dove sempre più ragazzi hanno integrato il telefonino al proprio corpo facendone un’appendice insostituibile, nutrendosi non solo di libri ma sempre più di meme e messaggi di fantomatici influencer, servendosi della scrittura quasi unicamente per chattare e scambiarsi messaggi sui social in maniera spesso sgrammaticata e telegrafica, trovarsi al cospetto di una ragazzina che già può vantare un interessante curriculum da scrittrice, agli occhi dei più sembrerà un’anomalia. Non lo è certo per il sottoscritto che per anni ha tenuto a Pozzuoli laboratori di scrittura creativa per ragazzi, integrando a queste esperienze un laboratorio di scrittura presso la sezione femminile del carcere minorile di Nisida.
In quegli anni ho avuto modo di apprezzare quanto sappiano essere maturi i ragazzini nell’esprimere su carta le loro idee e stati d’animo. Per cui leggere questo libricino per me non è stata una sorpresa, bensì la conferma che, contrariamente a quanto si pensi, i ragazzi sanno far funzionare molto bene la testa, spesso più degli adulti. Per farlo bisogna ovviamente che si nutrano di sane letture. Ed è sicuramente ciò che ha fatto e fa Martina. Ma il merito va anche ai genitori che hanno saputo trasmetterle sani valori, facendole capire che se nella vita si vuole avere successo bisogna studiare, coltivare nel miglior modo possibile il pensiero, credere nei sentimenti e avere rispetto degli altri; che l’educazione e l’onestà non sono sintomi di idiozia, ma principi imprescindibili su cui strutturare una società migliore.
In maniera schietta e sincera Martina ci regala una storia che, pur affrontando una vicenda tragica, trasuda di infinita dolcezza, diventando in alcuni momenti commovente, inducendoci a riflettere sul senso della vita e in particolare sull’amicizia.
Una frase sintetizza il senso del racconto: se ci tenete ad un’amicizia così bella, non perdetela a causa di un semplice soffio di vento, ma proteggetela anche nel più forte degli uragani.
Credo che nell’epoca attuale, dove la parola amicizia sta perdendo – forse sarebbe più giusto dire ha perso – sempre più significato e valore, sostituita da un qualcosa di algido e spesso volgare qual è l’amicizia virtuale diffusa gratuitamente sui social, il libro di Martina non è una goccia ma un oceano di speranza. Fino a quando ci saranno ragazzi e ragazze come lei, per questo mondo non è detta l’ultima parola.
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