Elio abitava al secondo piano di un prefabbricato dalla forma cubica. La palazzina apparteneva a un complesso di case istituzionali, dall’uniforme geometria, edificato sulla collina alla periferia della città per accogliere gli sfollati del terremoto. Da lontano l’agglomerato urbano trasmetteva un’intensa sensazione d’aridità. Sede di rancori, odi, rabbie, disperazioni, delusioni. Un ghetto che, all’approssimarsi delle elezioni, si trasformava in ambita riserva di caccia per i politici locali che vi si recavano in pompa magna col loro seguito di ruffiani analfabeti e camorristi per farsi carico dei malumori della gente. Sfoggiando dentature ingiallite e mal curate, pance prominenti, sigari puzzolenti tra le labbra. Ma soprattutto, falsi sorrisi. Seguiti da un’intensa scia di costosissimo profumo. Reprimendo a stento il disgusto per il degrado alla cui creazione avevano contribuito con i loro maneggi per arricchire i propri conti in banca e quelli dei loro amici, sfacciatamente si recavano casa per casa, barattando impossibili promesse in cambio di un “semplice ” voto, pagando un’utenza, regalando una spesa o lasciando un obolo di 50€ al padrone di casa.
Sebbene gli abitanti del quartiere fossero consapevoli vittime di quell’eterna commedia, ogniqualvolta la farsa si ripeteva, accoglievano calorosamente il teatrante di turno. Esternando le proprie preoccupazioni e speranze, gli offrivano una fumante tazza di caffè o dell’ottimo vino, quello per le occasioni speciali.
Alto come una porta, largo quanto un elefante, Elio era da tutti considerato un tipo strano. Dall’alba al tramonto, ma qualcuno insinuava finanche quando dormiva, il suo viso, rotondo come un pallone, irradiava un caldo e sincero sorriso alieno a quel tetro mondo.
Tipico delle persone sole, Elio aveva sempre una buona parola per tutti. Quando per strada incrociava qualcuno nervoso o triste, il che avveniva praticamente sempre, lo abbracciava con affetto, sussurrandogli come un padre al figlio: “Non lasciare che la rabbia spalanchi al male le porte del tuo cuore. Proteggi la tua anima e quella dei tuoi cari con la fiamma del sorriso!”
Una mattina, rientrando dalla spesa, Elio s’imbatté in una bambina singhiozzante, seduta sulla panchina. Sospirando, si chinò a raccogliere la margherita sbocciata dal cemento e le sedette accanto.
“Tieni” mormorò offrendole il fiore.
Piangendo, la bimba si volse ad osservarlo. Parve non gradisse l’omaggio.
“Perché piangi?” chiese Elio, piegando il capo per osservarla dal basso verso l’alto.
La bambina tirò su col naso. Tranquillizzata dalla bonarietà dell’uomo, domò il pianto e iniziò a raccontare.
“Il sindaco ha licenziato mio padre ritenendolo incapace di fare il giardiniere.”
“Perché?” chiese Elio, strappando, uno dopo l’altro, i petali dalla margherita come un innamorato speranzoso.
“Dice che è colpa sua se le aiuole del quartiere non danno fiori.”
“Nessuno riuscirebbe a far fiorire la vita tra tanto cemento” obbiettò, indicando l’ovale di pietra allargarsi sotto di loro, ai cui margini le lucertole indugiavano a prendere il sole.
“E’ quello che papà ha risposto. Ma il sindaco non ha voluto sentir ragioni e lo ha licenziato in tronco.” Così dicendo la bambina ricominciò a piangere, nascondendosi il viso tra le mani.
Elio strappò l’ultimo petalo dal fiore. Guardò la bambina amorevolmente e disse:
“Questa sera, tuo padre sarà in casa?”
“Da quando ha perso il lavoro, rientra non prima di mezzanotte, sempre ubriaco. La mamma piange dalla mattina alla sera. In casa si è persa l’armonia!”
“Non preoccuparti. Vedrai che tutto si risolverà!” rispose. Accarezzò la bambina sulla guancia. Si alzò e si allontanò.
Da poco era passata la mezzanotte quando il citofono suonò in casa della bimba.
“Chi è a quest’ora?” sbottò il padre ubriaco.
Si recò al citofono e urlò:
“Chi è?” Nessuno rispose. Poco dopo, suonarono alla porta.
“Chi…” sibilò l’uomo tra i denti, spalancando l’uscio.
L’enorme, sorridente figura di Elio si stagliò sulla porta, ammansendo l’ira dell’uomo.
“Buona sera” fece il gigante. “Ho qualcosa per lei!”
“Per me?”
Elio distese il braccio e mostrò la mano: nel palmo pulsava qualcosa simile ad un enorme cuore.
A quella vista, l’uomo indietreggiò inorridendo. Altrettanto fece la moglie che l’aveva raggiunto. Con la schiena appoggiata al muro, la bambina, divertita, alternava lo sguardo tra Elio e i genitori.
“Che cos’è?” domandò l’uomo fissando la cosa palpitante nel palmo della mano.
“Un seme” rispose Elio strizzando l’occhio alla bimba.
“E’ la prima volta che ne vedo uno simile. A quale pianta appartiene?”
“Una molto rara” rispose Elio con rimpianto.
“Quale?” chiese la moglie del giardiniere facendo capolino da dietro le spalle del marito.
“Quella dell’amore” rispose Elio.
“E’ la prima volta che ne sento parlare” replicò il giardiniere.
“Non a caso è rara” fece Elio fissando il seme nella mano.
“Cosa ne devo fare?”
“Per prima cosa, questa notte, lo interri dove le pare e lo innaffi con tanta acqua. Quindi, domani si rechi dal sindaco e gli chieda se è disposto a riassumerla se entro una settimana tutto il quartiere fiorirà come se fossimo su una ridente collina in primavera.”
“Ehi, amico, hai voglia di prendermi in giro? Questa terra è talmente satura di cemento che già è un miracolo se, di tanto in tanto, vi sboccia un fiore” fece l’uomo esasperato.
“Papà fa come dice lui” supplicò la bambina strattonandolo per i pantaloni.
Malgrado le perplessità, l’uomo eseguì le indicazioni di Elio.
L’indomani, dopo aver ascoltato l’ex giardiniere, il sindaco, tanto era sicuro dell’impossibilità della sua proposta che l’accettò senza battere ciglio.
Nel giro di una settimana il quartiere e la collina germogliarono di fiori profumati. Gli uccelli, che avevano sempre rifuggito quel luogo freddo e tenebroso, volavano sulle case cubiche in allegri stormi cinguettanti, diffondendo ovunque gioia.
Avvertito di quanto stava accadendo, il sindaco si recò per sincerarsi di persona. Ad accoglierlo trovò una folla festante che agitava fiori tra le mani.
“Come è possibile?” domandò incredulo, volgendo lo sguardo su quell’amena immensità profumata.
Le fredde facciate dei condomini erano interamente tappezzate di fiori. Visitatori giungevano da ogni dove attratti dall’incantevole scenario che si ammirava in lontananza dalla statale.
Tutti erano felici. Nessuno si avvide della sottile striscia di linfa che, dispiegandosi per le vie come un serpente, entrava in una palazzina, risalendone le scale fino al secondo piano. Solo la bambina la notò e la seguì. La striscia s’infilava sotto una porta. La bambina accostò la mano alla maniglia: aprì l’uscio ed entrò.
Nell’appartamento si diffondeva un intenso profumo. Seguendo la linfa sul pavimento, la bimba entrò nella stanza. Disteso sul letto c’era Elio. Dal petto dell’uomo germogliava una pianta dai fiori multicolori e profumatissimi.
Il volto sorridente del gigante la fissò.
“Tutto bene?” domandò Elio con un filo di voce.
“Grazie” sussurrò lei accarezzandolo sulla fronte. Si recò in cucina. Trasse dal mobile sul lavello un bicchiere, lo riempì d’acqua e, stringendolo nella mano, rientrò nella stanza.
Si accostò al letto e riversò l’acqua laddove una volta c’era il cuore d’Elio e ora germinava la vita.
L’uomo non fu mai più solo.