La soddisfacente prestazione che ottenni alla Sorrento-Amalfi cancellò i miei esigui dubbi se fossi effettivamente pronto per affrontare una maratona.
Con l’entusiasmo a mille mi iscrissi alla maratona di Napoli del 16 febbraio 2014.
Essendomi documentato e confrontato con chi era ferrato in medicina dello sport, appresi che l’organismo umano è tarato per correre non più di 33/34 km. Superata questa soglia pare che il metabolismo si alteri e per ripristinarsi occorrono per lo meno tre/quattro mesi. Ecco spiegato perché non si dovrebbero correre più di due maratone all’anno, una ogni sei mesi.
Tra fine dicembre 2013 e gennaio 2014 insieme a un gruppo di amici la domenica programmavamo delle uscite di allenamento di una ventina di chilometri, aumentando ogni settimana di qualche chilometro, per abituare le gambe allo sforzo di correre per ore.
L’ultima seduta di oltre 33 km la svolgemmo tre settimane prima della gara: Pozzuoli – Piazza Carlo III e ritorno.
Ricordo che al rientro da quella lunga corsa, malgrado la stanchezza, ero particolarmente felice: avevo avuto la conferma che, se non avessi commesso sciocchezze, avrei portato a termine la mia prima maratona.
Il giorno della partenza, malgrado fossimo in pieno inverno, a Napoli era una splendida giornata di sole con una temperatura che rasentava i venti gradi. La partenza era fissata a Pozzuoli, a ridosso del lago di Lucrino.
Quella mattina ero particolarmente teso in quanto ero consapevole che, se non avessi centellinato intelligentemente le energie, avrei rischiato di non chiuderla. Per evitare che l’eccitazione mi giocasse brutti scherzi, mentalmente non facevo che ripetermi quanto mi aveva raccomandato Lello Artiaco, il decano dei runner puteolani: “Enzo, questa è la tua prima maratona: non importa quanto tempo impiegherai a chiuderla. Anche se fossero cinque ore, non fa niente, l’importante è che la finisci. Al risultato cronometrico penserai quando farai la seconda. Ora devi acquisire la sicurezza che sei in grado di correre per quarantadue chilometri.”
A distanza di oltre otto anni, tuttora quelle parola mi risuonano nelle orecchie come se fossero state pronunciate pochi istanti fa!
Alla partenza ero insieme al mio amico Nunzio con il quale ho condiviso tante gare e tanti momenti di allegria. Corremmo fianco a fianco per più di venti chilometri. Solo quando una crisi gastrica lo colse nei pressi di Piazza Borsa, costringendolo a fermarsi più volte, proseguii da solo fino al traguardo.
Il tratto finale sul lungomare di Napoli fu una sofferenza atroce, non tanto per la stanchezza ma per via della maleducazione delle persone che, incuranti della gara in corso, passavano sotto il nastro che delimitava il campo di gara per attraversare la strada e affacciarsi sul mare, tagliando la strada agli atleti ormai stremati. Tale arroganza trovava sostegno nell’incuria dei volontari e dei rappresentanti delle forze dell’ordine sparsi lungo il percorso per garantire il corretto svolgimento della gara e tutelare la sicurezza degli atleti, e invece davano l’impressione di essere lì per godersi anche loro quella splendida giornata di primavera anticipata.
A circa due chilometri dal traguardo, nei pressi di Castel dell’Ovo, mi avvicinai al banchetto del ristoro per bere. Una delle addette mi porse la bottiglia. Dopo aver bevuto, provai a chinarmi per accostarla al marciapiedi. Non appena accennai a piegarmi, le gambe presero a tremare. A quel punto ebbi la netta sensazione che, se mi fossi chinato, non mi sarei più rialzato. Seppure malvolentieri, lanciai la bottiglietta per strada e proseguii verso la meta.
Quando, salendo Via Cesario Consolo, alla fine del rettilineo finale intravidi il traguardo posto a Piazza del Plebiscito, proprio di fronte Palazzo Reale, fui scosso da un brivido di emozione. Seppure fossi ormai a “riserva”, raccolsi le ultime residue energie e scattai verso l’arrivo.
Nel momento in cui tagliai il traguardo, fui soddisfatto. Non solo per aver concluso la mia prima maratona ma perché c’ero riuscito sotto le cinque ore: 4h:43′:12″.
Mentre ero nello spogliatoio insieme ad altri maratoneti per cambiarmi, entrò Nunzio tutto contento per aver superato la crisi ed essere riuscito anche lui a completarla.
Anche in quell’occasione fummo protagonisti di un simpatico episodio. Quando arrivai al traguardo, mentre mi dirigevo verso lo spogliatoio, intravidi distesi al sole A. e P, due runner di Pozzuoli con cui quella mattina eravamo partiti insieme e con i quali nelle settimane precedenti avevamo condiviso gli allenamenti. Convinto che si stessero concedendo il meritato riposo dopo la fatica, li guardai con un pizzico di invidia.
Quando Nunzio arrivò, intravedendoli, li indicò a un amico che, a conoscenza del reale motivo di quell’apparente riposo, gli svelò la verità…
Non appena lo vidi entrare nella tenda, dissi: “Nunzio hai visto, P. e A. si stanno rilassando al sole?”
Ridendo, rispose: “Macché rilassarsi, chille steven’ murenn’!”
I fatti sembra andarono così: quando A., a seguito di una crisi intestinale che lo costrinse a cercare ripetutamente conforto dietro le auto parcheggiate lungo il percorso e nel bagno di un bar, arrivò stremato al traguardo, incrociò P. a sua volta spossato da problemi gastrointestinali.
Guardandolo, A. disse: “P., che brutta faccia che hai!”.
P. rispose: “A., hai visto la tua?”
Dopo essersi cambiati, furono costretti a stendersi sull’asfalto assolato perché faticavano a reggersi in piedi.
La maratona è anche questo. Concluderla è un’esperienza esaltante.